In tempi bui per la giustizia il semplice buon senso può essere una rivoluzione copernicana. Lo è certamente la circolare con cui il Procuratore di Roma, Giuseppe...
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L'illuminazione di un magistrato archivia la dittatura dell'atto dovuto, quella locuzione burocratica che, dietro l'apparente asetticità del lessico giudiziario, sanciva nove volte su dieci la gogna pubblica. L'ultimo quarto di secolo di storia repubblicana è stato scritto su questa spietata ipocrisia: a chi osava obiettare che l'«avviso» non era di alcuna «garanzia» per i destinatari, ma aveva piuttosto l'effetto di una pena anticipata, irrogata senza condanna e senza processo, si obiettava che così voleva il sacro principio dell'obbligatorietà dell'azione penale, che si attiverebbe come reazione immediata della giustizia a una notizia criminis. Ma una denuncia, un'accusa, un'intercettazione sono sempre una notizia criminis, o più spesso uno schizzo di veleno?
La saggezza di un procuratore capo ha risposto a questa domanda che né i suoi colleghi né il legislatore si erano posti prima di oggi. E ha riscritto, almeno a Roma, le regole di ingaggio nel rapporto tra la giustizia e il cittadino. Lo ha fatto ricordandosi che, in base alla legge, il magistrato inquirente deve cercare tanto le prove a carico quanto quelle a discarico dell'indagato. E quindi ha il dovere di restituire perfino al sospetto quel minimo di dignità che il sospetto merita, e che lo distingue dal fango. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino