Balbuzie: cos’è, come va trattata e i suoi campanelli d’allarme

L’8% della popolazione mondiale soffre di balbuzie
Siamo abituati a pensare alla balbuzie come un fenomeno non preoccupante, passeggero e soprattutto riguardante un numero basso di persone. Queste credenze però non...

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Siamo abituati a pensare alla balbuzie come un fenomeno non preoccupante, passeggero e soprattutto riguardante un numero basso di persone. Queste credenze però non corrispondono propriamente alla verità: secondo uno studio del 2018 condotto presso l’Università dell’Illinois, il fenomeno riguarda l’8% della popolazione mondiale, in crescita negli ultimi dieci anni. A causa dei suoni inusuali emessi dai balbuzienti, ma anche dei comportamenti e degli atteggiamenti che vi sono associati, la balbuzie è stata oggetto di interesse scientifico, curiosità, discriminazione e ridicolizzazione. In Italia la balbuzie inceppa la parola del 17% dei bambini, i più colpiti, degli uomini (con un rapporto di 4:1 rispetto alle donne), e dei giovani: due maschi contro una ragazza.

Bisognerebbe innanzitutto avere chiaro cosa significa “persona che balbetta”. La balbuzie presenta infatti un’alta variabilità, sia interindividuale che intraindividuale. Le manifestazioni della balbuzie cambiano da persona a persona, ma anche nello stesso soggetto possono variare lungo l’arco della vita in termini di frequenza, durata, tipologia e severità. 

«La balbuzie è un fenomeno molto eterogeneo» spiega al Mattino la dottoressa Valentina Letorio, psicologa e responsabile clinica dell’area balbuzie del centro medico Vivavoce, con sede centrale a Milano ma presente anche in altre città tra cui Caserta, Bologna, Udine e Messina. «Storicamente, quando parliamo di balbuzie la associamo o a un distrubo puramente del linguaggio, o a una difficoltà di natura psico-emotiva. In questo caso, gli interventi clinici sono mirati o ad aspetti fisiologici legati alla respirazione e alla produzione del suono, o ad aspetti di natura psicologica legati alla gestione dell'ansia e alla regolazione delle emozioni. In realtà, con la balbuzie siamo di fronte a un fenomeno molto complesso, che non tocca solo un aspetto della persona, ma la coinvolge nella sua totalità. A partire sì, da aspetti puramente verbali, ma fino ad arrivare a componenti di natura motoria, cognitiva, comportamentale e psico-emotiva».

Dunque non è sempre facile riconoscere questo disturbo, e soprattutto non è detto che un bambino che presenta qualche difficoltà ad esprimersi e a comunicare sia destinato a diventare balbuziente: «La balbuzie compare tipicamente in età prescolare, intorno al terzo anno di vita», continua la dottoressa Letorio. «Le manifestazioni possono essere molto variabili, da sintomi di natura prettamente verbale-linguistica, come ripetizioni, prolungamenti, blocchi nell'articolazione di alcuni suoni, fino a manifestazioni - soprattutto nei più piccoli - a livello psicologico-comportamentale come manifestazioni di rabbia, ansia, frustrazione con scoppi di pianto, magari nell'interazione con estranei. Lì il bambino si agita e richiama più volte l’attenzione del genitore, per fare in modo che si possa sostituire a lui nella conversazione». 

«Questi sono campanelli d’allarme - avvisa la dottoressa - che devono essere tenuti in considerazione, perchè esprimono le prime avvisaglie di disagio nella comunicazione da parte del bambino e possono essere presenti solo in alcuni contesti. Dall'interazione con estranei o con altri bambini nell'ambito scolastico, fino a situazioni più familiari. Per una riabilitazione di successo della balbuzie a lungo termine, è necessario quindi un approccio a trecentosessanta gradi sulla persona, che vada a intervenire su tutte queste componenti. Il metodo adottato dal centro medico Vivavoce, ideato dal suo fondatore - il dr. Giovanni Muscarà - è dimostrato scientificamente: prevede una presa in carico personalizzata del paziente sulla base del suo livello di difficoltà di partenza, dell’età e dei bisogni».

Stando ai dati comunicati durante il primo convegno italiano sui disturbi della fluenza verbale dello scorso ottobre, recuperare spontaneamentè la fluidità di linguaggio è possibile nel 75% dei casi, quando il disturbo è trattato prima dei 7 anni. È comunque possibile migliorare, anche se con esiti meno evidenti, negli adolescenti. Più raro e difficile, invece, nell’adulto.

La balbuzie quindi non è solo un problema di fluenza in senso stretto, ma riguarda la qualità di vita della persona. «Un bambino che soffre di balbuzie può ritrovarsi vittima di bullismo e discriminazioni - conclude la specialista -, che nelle situazioni più gravi possono sfociare in drop-out scolastico, isolamento sociale, o anche precludersi in età avanzata alcune scelte di vita o professioni. Dunque è fondamentale fare una corretta informazione e sensibilizzazione su questo tema, partendo dal basso, dai primi stadi. Facendo conoscere ai bambini cos’è davvero la balbuzie. Un lavoro di formazione che deve riguardare anche gli insegnanti, fino ad arrivare alle famiglie. È fondamentale che chi balbetta non venga guardato e giudicato per il modo in cui si esprime, indipendentemente dalla scelta di un eventuale percorso di cura».

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Il Mattino