BRUXELLES - «È il momento di una decisione, il Parlamento ha fatto di tutto finora per non decidere». La premier britannica Theresa May si presenta in tv a sera...
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Questa è la situazione dopo un anno e mezzo di negoziati, di inconcludenze del governo di Londra che ha portato a una gravissima crisi politica, istituzionale e perfino di senso del sistema politico britannico. Oggi e domani a Bruxelles si riuniscono i capi di Stato e di governo e alla vigilia, la nuova richiesta britannica, l'ennesima del questo defatigante ping pong da teatro dell'assurdo: May ha chiesto una proroga della data di divorzio al 30 giugno, in modo da non dover partecipare alle elezioni per il parlamento europeo e che la Ue approvi l'accordo sancito un mese e mezzo fa nel quale si chiarisce che la clausola per garantire confini aperti tra Repubblica d'Irlanda e Irlanda del Nord sarà temporanea in attesa di un accordo sulle relazioni commerciali Ue-Regno Unito. In tal modo May può giustificare un terzo voto sull'accordo di ritiro perché contiene delle novità rispetto alla versione precedente.
Dopo un giro telefonico con i responsabili politici di governo e degli Stati membri, il presidente della Ue Donald Tusk ha risposto così: pronti ad accettare la proroga breve (la durata si vedrà) e a ratificare l'accordo di Strasburgo a condizione che la Camera dei Comuni si pronunci con un voto a favore dell'accordo di divorzio concordato con May, accordo che i parlamentari britannici hanno già respinto due volte. Così la palla torna in campo britannico. Di conseguenza, al Vertice Ue non saranno prese delle decisioni: si resterà appesi fino a martedì o mercoledì prossimi, quando May affronterà l'ultima prova della sua tortuosa gincana. Tre gli scenari possibili. Westminster approva l'accordo con la Ue e tutti si mettono il cuore in pace. Il voto europeo non interferirà perché il nuovo parlamento Ue si insedierà dal primo luglio. È una ipotesi sulla quale a Bruxelles non punta quasi nessuno. Il secondo scenario è che, sconfitta nuovamente a Westminster, May chiederà un rinvio lungo, almeno per tutto l'anno. E qui si apriranno le danze nella Ue: una richiesta del genere deve essere motivata, deve essere chiaro il percorso politico che Londra intende seguire.
In sostanza deve essere chiaro se il Regno Unito andrà a nuove elezioni politiche, se si tornerà sulla questione di un secondo referendum. Una proroga lunga non potrà essere al buio. Comporta da un lato che i britannici dovranno partecipare al voto europeo del 23-26 maggio, prospettiva che i brexiteers vedono come il fumo negli occhi, dall'altro lato farà correre ai 27 il rischio di restare ostaggi degli umori politici prevalenti a Londra, di mettere in discussione il funzionamento delle istituzioni. In quanto Stato membro, il Regno Unito sempre in procinto di andarsene - avrebbe diritto di voto e intervento su tutte le politiche Ue. Si pensa a un impegno formale di non belligeranza su decisioni che hanno effetto nel periodo successivo alla Brexit. In ogni caso «non c'è grande appetito nelle capitali per una hard Brexit che viene considerata il guaio peggiore», indica una fonte diplomatica europea. Tusk l'ha spiegato così: «Anche se la speranza di un successo finale può sembrare fragile, persino illusoria, e sebbene la fatica della Brexit sia sempre più visibile e giustificata, non possiamo rinunciare a cercare fino all'ultimo momento una soluzione positiva, ovviamente senza aprire l'Accordo di Prelievo: abbiamo reagito con pazienza e buona volontà a numerosi eventi e sono fiducioso che, anche ora, avremo la stessa pazienza e buona volontà».
Intanto il governo italiano gioca d'anticipo e per evitare effetti destabilizzanti di un'eventuale uscita non disciplinata della Gran Bretagna ha varato - «salvo intese» - un decreto ad hoc per «garantire la stabilità e integrità del sistema finanziario». Alle banche d'investimento della City, in particolare a quelle che partecipano alle aste di titoli di Stato, viene concessa una proroga di 18 mesi per continuare a operare in Italia. In assenza di un accordo tra Londra e Bruxelles gli istituti di credito perderanno infatti il passaporto Ue, con il rischio di un «pregiudizio alla liquidità dei mercati» che il governo punta ad evitare. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino