Quanto è calda la terra? Lo scienziato Scafetta: ​«Cicli millenari e molte speculazioni»

Quanto è calda la terra? Lo scienziato Scafetta: «Cicli millenari e molte speculazioni»
Nicola Scafetta, docente di Meteorologia e Climatologia dell'Università di Napoli Federico II e responsabile dell'Osservatorio Meteorologico federiciano, è...

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Nicola Scafetta, docente di Meteorologia e Climatologia dell'Università di Napoli Federico II e responsabile dell'Osservatorio Meteorologico federiciano, è nell'elenco degli scienziati internazionali più influenti al mondo per numero di citazioni. Non a caso il fisico dell'atmosfera Franco Prodi ieri lo ha citato nell'intervista al Mattino per la sua teoria sui cicli millenari solari che influenzano il clima del pianeta.

Professore, ci spiega cosa sono questi cicli millenari?
«Si tratta di cicli del clima di lungo periodo, da non confondere quello degli ultimi mesi con la siccità dilagante. L'oscillazione millenaria è stata osservata molto bene dai dati solari, addirittura ha un nome: è chiamata Oscillazioni o Ciclo di Eddy, in onore del grande fisico solare John A. Eddy un pioniere della materia che a metà degli anni Settanta studiò il minimo di Mounder cioè quella durante la piccola era glaciale avvenuta tra il 1650 e il 1715 in cui c'è stata la minima presenza di macchie solari. Da qui il punto di partenza per la teoria dell'oscillazione millenaria, cioè fu constatato che a una bassa attività solare corrispondeva un periodo freddo-glaciale. Prima di questo minimo di Mounder c'è stato invece un periodo caldo, corrispondente al medievo, così come dopo è iniziato quello attuale, il periodo caldo contemporaneo. Analizzando i dati a ritroso almeno di 10mila anni, si è visto che questa alternanza caldo-freddo sulla Terra corrispondeva all'attività solare, con una cadenza di mille anni. Dal 2000 in poi ci sono stati innumerevoli pubblicazioni sull'argomento che correla un record solare con un record climatico, consideri che intorno al 1950 abbiamo avuto un'attività solare davvero molto alta, da lì abbiamo avuto i primi segnali di un forte cambiamento anche del clima».

L'uomo quindi non c'entra con il riscaldamento globale?
«L'aumento delle temperature dal 1700 a oggi rientra nel ciclo millenario solare sicuramente ma a esso dovremmo sovrapporre eventualmente la componente antropica, cioè creata dall'uomo. La sua domanda ce la siamo posta anche noi scienziati, e infatti in uno studio pubblicato lo scorso anno, insieme a una ventina di scienziati di tutto il mondo, abbiamo cercato quindi di capire se la causa solare fosse primaria o secondaria (How much has the Sun influenced Northern Hemisphere temperature trends? An ongoing debate pubblicato su Institute of Physics, ndr)».

E cosa è emerso?
«Siamo partiti da questo concetto. Al momento esiste una notevole incertezza sia di dati climatici, cioè di quanto si sta riscaldando la Terra, e sia di dati per la ricostruzione dell'attività solare antica. I dati solari veri li abbiamo dal 1978 in poi cioè da quando i satelliti sono stati abilitati per queste ricerche. Prima di allora ci sono ricostruzioni delle attività solari attraverso modelli matematici che però sono diversi tra loro. Quindi alcuni gruppi scientifici dicono che l'attività solare è cambiata su scala secolare, quindi un'attività modesta, e ci sono altri astrofisici che affermano che è variata molto di più perfino con un rapporto 4-5 volte di più. Grandi differenze, quindi».

E i dati climatici?
«Anche qui ci sono incertezze. Il problema in questo caso è capire di quanto la temperatura è aumentata nell'ultimo secolo e la variabile viene dalla strumentazione, cioè i termometri usati per stimare questi dati si trovano in prossimità dei centri urbani, notevolmente cresciuti dal dopo guerra in poi, che normalmente sono aree più calde rispetto alla campagna. Se il centro urbano cresce e il termometro resta sempre nello stesso punto, esso registrerà un riscaldamento proprio perché la città gli è cresciuta intorno e questo è riscaldamento urbano può indurre a un errore nella stima delle temperature globali se non viene corretto. Coloro che lo fanno, cercano di compensare il problema con modelli matematici ma non funzionano al 100% e di conseguenza, in questo articolo abbiamo scoperto che se cerchiamo di ricostruire la temperatura globale usando solo con le stazioni rurali, cioè lontane dai centri urbani, il riscaldamento globale è molto inferiore rispetto a quello dei centri urbani. Parliamo del 20% in meno. Quindi tutti siamo d'accordo che c'è stato riscaldamento ma non sappiamo bene di quanto, ma a seconda dei dati che uso, ho differenti risultati, ma se vado a ritroso ed elimino le temperature urbane e uso solo quelle in campagna constato che il Sole ha un ruolo maggioritario nel riscaldamento globale. Insomma, a seconda dei dati che si usano si arriva a diversi obiettivi nell'interpretare i dati climatici».
E per il rapporto di valutazione dell'IPCC, il Gruppo Intergovernativo sui

Cambiamenti Climatici dell'Onu, quali dati si usano?
«Usano la ricostruzione solare con più bassa variabilità e calibrano i modelli su temperature climatiche sia dei centri urbani che rurali. Inserendo entrambi questi dati i loro modelli ricostruiscono il riscaldamento imputandolo quasi totalmente all'uomo».

Sono errati quindi?
«Stanno usando dati sbagliati ed esageratamente caldi in partenza. Ma c'è anche un altro problema: i loro modelli non ricostruiscono i periodi storici. Cioè falliscono sul modello medievale, per esempio. E questa per me è la principale evidenza che i modelli IPCC sono inconsistenti perché falliscono su qualcosa di certo avvenuto nel passato. E se non lo fanno sul passato, non possiamo essere certi che lo facciano sul futuro. C'è poi un altra cosa che contesto: la loro esagerazione climatica è confermata dalle stazioni urbane troppo vicine alle metropoli. Tra il centro di Londra e la sua periferia ci sono anche 10 gradi di differenza. Fa molta differenza quindi il dato di partenza».

Eppure la gente comune tende a credere più al catastrofismo rispetto alla scienza.
«Perché queste informazioni spesso sono diffuse anche in maniera propagandistica da chi ha un interesse economico verso argomentazioni ambientaliste».

Il caldo attuale a cosa è dovuto?
«Stiamo vivendo un periodo con un blocco di aria fresca fermo dietro le Alpi che per poca energia non riesce a passare, e di contrasto l'anticiclone africano trova il varco e si stabilisce sul Mediterraneo, portando clima caldo e impedisce la formazioni di nubi. Il Nord Atlantico a dire il vero si è raffreddato ma il ciclone islandese non riesce ad arrivare qui da noi, questo perché l'aria non riesce a caricarsi di umidità ed energia: se l'acqua è fredda c'è minore evaporazione che dalla superficie del mare sale in atmosfera, con venti poco potenti. Quindi ciclone resta immobile».

E la siccità degli ultimi mesi: anche qui l'uomo non c'entra?
«La siccità è dovuta alla della Niña ferma sul Pacifico equatoriale con acqua fredda davanti al Perù, mentre è caldissima dalla parte, verso l'Indocina dove sono iniziati in anticipo i monsoni che sono particolarmente violenti.

Cioè la pioggia che manca a noi, è tutta concentrata lì?


«In un certo senso sì. Ma è una costante. Nel 2017 abbiamo avuto in Campania una forte crisi idrica, così con una mia tesista studiammo la siccità andando indietro nel tempo. Si è scoperto che ci sono fluttuazioni di circa 5 anni negli ultimi 40 anni e nella tesi ipotizzammo che il 2022 sarebbe stato un periodo siccitoso. Queste fluttuazioni sono sovrapponibili a quelle della Niña che ha cicli tra 4 e 6 anni». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino