Camere, la mossa rischiatutto di Salvini per evitare l'inciucio Pd-Fi

Camere, la mossa rischiatutto di Salvini per evitare l'inciucio Pd-Fi
«Ognuno, come abbiamo fatto noi, deve fare un passettino indietro». Sembra neutra, quasi vezzeggiativa, la frase simbolo della giornata di Matteo Salvini e di questa...

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«Ognuno, come abbiamo fatto noi, deve fare un passettino indietro». Sembra neutra, quasi vezzeggiativa, la frase simbolo della giornata di Matteo Salvini e di questa giornata il leader leghista è stato il funambolo e, per ora, il realizzatore in una partita durissima dentro il centrodestra. Quando sta a pranzo, in un bar per turisti a Piazza Torre Argentina, dove arriva a piedi dal Senato, ha già deciso la strategia Salvini. Anche se non la dice. Si limita a osservare, mentre tutti parlano di stallo e di tempi biblici: «Sabato pomeriggio ci saranno i presidenti della Camera e del Senato». Poi motteggia su Di Maio: «Abbracciarci va bene, come nel murales, ma baciarci in bocca no. Non è il mio tipo». E aggiunge: «Più tardi lo sentirò».

 
E certo che lo sentirà, per contrattare il blitz sulle Camere ai danni di Silvio, e lo sentirà sia prima sia dopo la telefonata con Berlusconi. Che se fosse una canzone sarebbe quella di Mina, musicata da Morricone e scritta da Maurizio Costanzo: «Se telefonando io volessi dirti addio...». Non l'ennesima proposta di trattativa quella diretta a Palazzo Grazioli, ma l'annuncio di una decisione presa, cioè che la Lega vota Bernini. «Presidente, sono io». «Dimmi, Matteo». E Salvini spiega al Cavaliere ciò che aveva già detto ad alcuni dei suoi e che dirà loro anche in seguito. Ossia che durando lo stallo su Romani, ci sarebbe stato il rischio che alla fine Pd e M5S alla Camera avrebbero fatto un asse micidiale ai danni del centrodestra e quindi: «Meglio che sparigliamo noi e che lo facciamo subito, già oggi». Così dice a Silvio, e Silvio resta sulla sua posizione: «Matteo, sbagli e così salta tutto». Comunicano ma c'è incomunicabilità. Con i suoi Salvini può parlare più diffusamente e parla così: «Ho portato a Berlusconi su un piatto d'argento la Bernini. Ho servito il Senato a Forza Italia con tutti gli onori. La Bernini è dei loro, la vota la Lega e la votano anche i grillini. Che problema c'è?».
 
C'è che è Salvini a proporla e a queste cose il re di Arcore non è abituato. E ancora Salvini con Giorgetti e altri colonnelli lumbard: «Forza Italia non voleva cambiare candidato? E allora gliel'ho cambiato io». Ben sapendo che i forzisti non hanno grande capacità di reazione (la botta del 4 marzo ancora si sente, e a lungo si sentirà). Con Berlusconi, comunque, sul nome della Bernini non è stato rigidissimo il capo del Carroccio. «Non va bene lei?», così ha detto all'alleato o forse ex alleato: «E allora puntiamo sulla Casellati, così non si potrà dire che l'ha imposta Salvini. Per me la Casellati è perfetta, non c'è problema».

Il suo problema al momento è soltanto quello di mantenere l'asse con Di Maio, perché - comunque vadano le trattative sul governo e qualunque sia il governo che verrà fuori - i due condividono la convinzione di rappresentare uno su un fronte e l'altro sul fronte opposto il nuovo bipolarismo. Quello in nuce dopo il voto del 4 marzo e che sarà sancito, secondo Giggino e Matteo, la strana coppia, alle prossime elezioni che nei loro piani non saranno lontanissime nel tempo.
E ancora Salvini ai suoi: «Berlusconi, quando al telefono gli ho detto che la Lega andava sulla Bernini è rimasto in silenzio. Ascoltava. Capivo che stava profondamente dissentendo. Poi me lo ha detto: così non si fa. Ma senza forzare granché, senza toni minacciosi o di rottura». Poi però... «Poi però - incalza Salvini - è entrata in campo la corte dei miracoli del Cavaliere. Quei consiglieri e parlamentari, non tutti solo qualcuno, che ogni volta lo spingono contro di me. E c'è stata l'insurrezione!».


Ovvero la durezza della reazione dei berlusconiani, e la nota drastica del Cavaliere sull'alleanza andata in pezzi. Salvini aveva messo in conto il contrattacco. «Non escludo altre mosse di Berlusconi», ha detto sempre ai suoi nel pomeriggio. E la mossa è stata semplice, più volte ribadita, fino a tarda sera: Romani uber alles. Il muro contro muro non è destinato ad attenuarsi. Uno deve dimostrare di non essere subalterno all'altro (Silvio nei confronti di Matteo) perché non è mai stato il numero due di nessuno, e il leader leghista vuole tenersi le mani libere rispetto al recinto di centrodestra non per romperlo ma per portarlo al suo seguito al governo o in un'eventuale intesa con M5S che duri poco e accompagni l'Italia al voto. Ma questa seconda partita è tutta ancora da inventare. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino