«Vergognoso». «I soldi dei nostri stipendi in un conto privato: inaccettabile». «Io voglio restituire allo Stato, non a Di Maio per finanziare la...
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La piattaforma di Casaleggio jr. avverte i 328 parlamentari M5s che d'ora in poi i 2mila euro al mese che ciascuno di loro è obbligato a decurtarsi dall'indennità parlamentare, non dovranno più essere versati né al fondo pubblico per i crediti alle Pmi e per l'ammortamento del debito - com'era avvenuto sin dalla scorsa legislatura (23 milioni di euro certificati dal ministero dell'Economia) - né al conto della Protezione civile com'era successo per il trimestre luglio-settembre 2018 in aiuto delle popolazioni colpite dalle alluvioni. Per le rendicontazioni che arrivano fino a febbraio 2019 - e che devono essere effettuate entro il 10 maggio - c'è un nuovo Iban, informa la mail di Rousseau. Un nuovo numero di conto corrente. Che però stavolta è privato ed è intestato a tre persone: il capo politico Luigi Di Maio e i due capigruppo alla Camera e al Senato, Francesco D'Uva e Stefano Patuanelli. La comunicazione della piattaforma certifica in realtà quanto era già stato sancito il 7 agosto scorso. Quando, per superare l'era dei furbetti del bonifico, era stato istituito davanti al notaio Luca Amato di Roma, il nuovo «Comitato per le rendicontazioni del M5s», e insieme a questo un nuovo conto intermedio per vigilare sui furbetti.
Il problema è però che nessuno tra i parlamentari ne era stato messo a conoscenza fino a fine gennaio, quando apprendono delle nuove regole dalle agenzie. In molti intimano a quel punto al capo politico di ridiscutere tutto in un'apposita assemblea congiunta. «Di fronte alla protesta montante, Luigi si era impegnato allora a rivedere insieme a noi i meccanismi dei bonifici racconta un parlamentare grillino ma la mail di mercoledì è l'ennesima prova che siamo stati scavalcati». Del Movimento Luigi Di Maio è fondatore, ma anche tesoriere. Ma nessuno, a onor del vero, dubita della sua integrità, né di quella del direttivo.
Per comprendere il vero senso delle critiche avanzate dai parlamentari M5s che è invece tutto politico - è opportuno piuttosto guardare a quanto accaduto di recente in Abruzzo. Dove a fine novembre, quando mancano due mesi alle regionali poi perdute, plana Luigi Di Maio per il Restitution Day. A fianco della candidata governatrice del M5s Sara Marcozzi, il capo politico annuncia alla folla che grazie ai rimborsi Cinque Stelle (710mila euro), sono state donate alla Regione una turbina spazzaneve e quattro ambulanze. Le stesse che dopo il flop elettorale, Beppe Grillo chiede indietro agli abruzzesi con una battuta al curaro che scatena un putiferio. «L'Abruzzo è l'emblema del nuovo corso. Queste non sono più le restituzioni a beneficio della collettività del vecchio Movimento è la chiosa di un colonnello grillino - ma mance elettorali da prima Repubblica che serviranno a comprare consenso dove serve». È questo il punto. Dove finiranno i rimborsi? Nessuno lo sa per certo. Probabilmente toccherà agli iscritti su Rousseau ratificare i beneficiari individuati dai vertici fa sapere lo staff - anche nell'ottica dichiarata di incentivare le votazioni online.
Ma la prospettiva di donazioni calate dall'alto non va giù quasi a nessuno. «Se l'obiettivo è questo è la critica che rimbalza nelle chat - smettiamola con la storia delle restituzioni ai cittadini, e chiamiamo i rimborsi con il loro nome: spese per la propaganda di partito». Sulla vicenda, alla Camera e al Senato, in molti sono pronti a chiedere un passo indietro al capo politico. La controproposta sulla quale si lavora in queste ore è quella di individuare i destinatari dei nuovi rimborsi a maggioranza, in assemblea congiunta. Viceversa, sono in tanti a minacciare già da ora il fai-da-te: «I soldi sono miei, e decido io chi è meritevole di aiuto». Malcontento su malcontento, in casa Cinque Stelle. Se anche sul mega-direttorio, arriva in queste ore la brusca frenata di Di Maio, dopotutto non è un caso. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino