C'è fame di mascherine in Italia. Si tratti di quelle chirurgiche o delle più sofisticate ffp2 o ffp3. In tempi di coronavirus il nostro paese ne divora 90...
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Tuttavia la Cina ha ricominciato a macinare. È questa è un'ottima notizia per tutti. Il gigante asiatico, che si è quasi messo alle spalle l'emergenza Covid-19, spinge le sue fabbriche ai massimi livelli e i frutti, su scala globale, si vedono. In Italia ne stanno arrivando in vari stock (a partire da ieri) 120 milioni. Si tratta di quelle chirurgiche. In una compravendita chiusa dal commissario straordinario all'emergenza Domenico Arcuri. Lui è uno dei quattro attori italiani che hanno il compito di reperire la merce. Le Regioni possono muoversi in autonomia come la stessa Protezione civile e anche Consip. E proprio la centrale d'acquisti ha chiuso oggi un bando per la fornitura di 5,4 milioni di ffp3, 3 milioni di ffp2 e 16 milioni di chirurgiche.
La Protezione civile si è rivolta anche al mercato interno. Numerose sono le fabbriche, soprattutto del tessile, che stanno adattando i loro sistemi produttivi a questa singolare domanda. Per esempio, a Calangianus in Sardegna, una piccola fabbrica guidata da Giovanni Pasella (Artigianato Pasella), sta modificando le sue linee di produzione. «Aspettiamo che l'Istituto superiore di sanità ci dia le autorizzazioni. Noi abbiamo mandato tutto», spiega l'imprenditore. «Adoperiamo un foglio di tessuto di 40 per 20 centimetri. Lo ripieghiamo a metà, poi applichiamo la plissettatura per aumentare la superficie filtrante e le fissiamo con gli elastici». «Potremo produrne 2.500 a settimana», spiega con un pizzico di orgoglio e con la consapevolezza di garantire anche un servizio utile alla comunità. Niente a che vedere, ovviamente, con i numeri del gigante asiatico. Ci sono fabbriche in Cina che ne realizzano 5 milioni al giorno.
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In Europa, ormai, la produzione è pressoché inesistente. Soprattutto per quelle chirurgiche. La manodopera costa troppo a differenza che in Asia. Per le ffp2 e le ffp3 c'è una sola azienda in Italia. Per questo motivo il legislatore, soprattutto all'inizio, quando la Cina annaspava nel coronavirus e non poteva esportare, ha dovuto allargare le proprie maglie per facilitare una lavorazione interna. Ora le stesse imprese italiane devono autocertificare la qualità del prodotto dichiarando che rispetta i requisiti di sicurezza. Un escamotage figlio dell'emergenza Covid-19. Le aziende che hanno risposto all'appello lo hanno fatto sostanzialmente per le chirurgiche, di facile realizzazione.
Si tratta di maschere difensive: proteggono, più che altro, chi non le indossa. Se si è positivi limitano la propagazione del virus. Se si è negativi al coronavirus non rappresentano una grande barriera. Ad ogni modo sono utilissime. Ma sono anche usa e getta. Le ffp2 e le ffp3, invece, fanno entrambe le fasi difendono e attaccano. Proteggono chi le mette e impediscono il contagio se si ha contratto la malattia. La prima con una percentuale intorno al 90% la seconda al 99%. Tuttavia anche loro hanno degli impieghi limitati, 8 ore consecutive. E siccome il bisogno genera sempre la domanda sono in fase di studio mascherine lavabili e riutilizzabili più volte.
C'è poi il capitolo relativo alla ripartizione delle mascherine in Italia. Il principio su cui si fonda l'intera distribuzione è soprattutto legato alla domanda degli ospedali che ne consumano in grandi quantità. Perciò la Protezione civile rifornisce le regioni in relazione alle richieste e alla disponibilità. Le regioni, che possono anche averne acquistato per conto loro, raccolgono quotidianamente l'esigenza dei vari nosocomi e poi inviano il materiale a seconda delle riserve. Nel Lazio, per esempio, in media ne vengono distribuite 40mila al giorno. E in queste ore la giunta ha chiuso un importante acquisto di 6 milioni di ffp2. Tra le migliori per evitare di contrarre il virus.
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Il Mattino