È fumata nera sui Coronabond. Dopo un vertice di oltre sei ore e il veto posto dall'Italia sul testo di conclusioni, i 27 leader della Ue decidono di darsi altre due...
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Quindi il confronto che proseguirà nei prossimi giorni non esclude nulla ma riparte esattamente da dove era iniziato: da un'Europa divisa tra Nord e Sud, tra chi vuole condividere risorse e rischi e chi invece preferisce gestirsi le crisi da solo. La palla ripassa ora all'Eurogruppo. I leader lo invitano a «presentarci proposte entro due settimane. Queste dovrebbero tenere in considerazione la natura senza precedenti dello shock» del coronavirus e «la nostra risposta deve essere rafforzata, come necessario, con azioni ulteriori in modo inclusivo alla luce degli sviluppi, per finalizzare una risposta esauriente», si legge nella dichiarazione finale.
Il testo è sufficientemente vago da accontentare tutti, e riprende anche l'ultimatum che il premier Giuseppe Conte, a metà riunione, aveva dato ai colleghi: «10 giorni per battere un colpo». Perché se si pensa di usare gli strumenti del passato, con aiuti indirizzati ai singoli Stati, «non disturbatevi, ve lo potete tenere, perché l'Italia non ne ha bisogno». Nessuno, insomma, si è spostato dalle posizioni che aveva entrando nella sala virtuale del primo vertice di primavera in videoconferenza della storia. «Ho spiegato che noi preferiamo il Mes come strumento, che è stato fatto per le crisi», ha ammesso la cancelliera Angela Merkel al termine del vertice, ribadendo la posizione tedesca sui coronabond. Con la Germania sono schierate l'Austria («Respingiamo una mutualizzazione generalizzata dei debiti», ha detto il cancelliere Sebastian Kurz), la Finlandia e l'Olanda.
Il premier olandese Mark Rutte spiega bene la resistenza di tutto il fronte del Nord: «Siamo contrari ai coronabond. Molti altri Paesi lo sono, perché porterebbe l'Eurozona in un altro territorio, sarebbe come attraversare il Rubicone. L'Eurozona ha creato i suoi strumenti, come il Mes, che può essere usato in modo efficace, ma con le condizionalità previste dai trattati. Non posso prevedere alcuna circostanza in cui l'Olanda possa accettare gli eurobond». Il fronte dei rigoristi non si vedeva così compatto dai tempi dell'austerità imposta alla Grecia. Da allora, molto sembrava essere cambiato: il 'mea culpà dell'ex presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker verso i greci e la dissoluzione della troika, l'apertura della Ue verso un orientamento di bilancio più espansivo e la disponibilità della nuova Commissione ad un approccio generale più flessibile sui conti pubblici.
Ma, nel momento del bisogno, i nodi vengono al pettine: il Nord non si fida del modo di gestire i conti pubblici del Sud, ed esattamente come dieci anni fa non è pronto a mettere in comune risorse, tantomeno i propri debiti, facendo da garante a Paesi al di sotto della tripla A. Nessuno pensa a «una mutualizzazione del debito pubblico. Ciascun Paese risponde per il proprio debito pubblico e continuerà a risponderne», ha detto Conte ai colleghi Ue. Ricordando che l'Italia «ha le carte in regola con la finanza pubblica: il 2019 l'abbiamo chiuso con un rapporto deficit/Pil di 1,6 anziché 2,2 come programmato». Con l'Italia ci sono Francia, Spagna, Irlanda, Belgio, Grecia, Portogallo, Lussemburgo e Slovenia, firmatari con Conte della lettera sui Coronabond.
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La loro battaglia proseguirà all'Eurogruppo.
Il Mattino