Covid Italia, Miozzo detta la linea: «Nessun lockdown totale ma chiusure locali inevitabili con gli studenti a scuola»

Covid Italia, Miozzo detta la linea: «Nessun lockdown totale ma chiusure locali inevitabili con gli studenti a scuola»
«Non c'è un caso Campania, i numeri dei contagi crescono ovunque. È il prezzo per un'estate vissuta un po' troppo liberamente e regioni come la Campania, ma anche il Lazio, che...

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«Non c'è un caso Campania, i numeri dei contagi crescono ovunque. È il prezzo per un'estate vissuta un po' troppo liberamente e regioni come la Campania, ma anche il Lazio, che hanno la fortuna di avere città meravigliose, splendide coste e litorali, pagano lo scotto più alto perché hanno attratto più turisti italiani e stranieri. È un problema nazionale, che era stato ampiamente annunciato e previsto e che come Cts e Protezione civile stiamo seguendo con molta attenzione. Sono però ottimista perché il Servizio sanitario nazionale, Campania inclusa, è pronto e sta facendo ogni sforzo. Escludo al momento un nuovo lockdown nazionale, ma a livello locale, dobbiamo essere pronti. L'effetto-scuola sarà inevitabile, ma siamo preparati».


Sono caute ma incoraggianti le parole di Agostino Miozzo, medico con una lunga esperienza nella Protezione civile e da mesi coordinatore del Comitato tecnico scientifico (Cts), che mette in guardia: «La situazione è sotto controllo, ma è vietato dormire sugli allori, per questo il rispetto delle regole dev'essere assoluto e la vigilanza massima. Non ci sono formule magiche, Il virus ci dice che nessuno è invulnerabile, nessuno può sentirsi al riparo».  
 
Miozzo, l'impennata di casi in Campania e nel Lazio fa paura e da giorni voi esperti parlate di possibile effetto-scuola.
«L'effetto scuola ci sarà, è inevitabile, perché si sono rimesse in movimento 10 milioni di persone tra studenti e personale, più tutta l'organizzazione delle famiglie e dei trasporti. La scuola per sua natura è aggregazione, che è il contrario del distanziamento. Il punto però ora è essere pronti e preparati a gestire la situazione e gli effetti. Bisogna essere preparati ad agire immediatamente per isolare i casi e bloccare i focolai. Non sono l'avvocato dei ministri o della politica, ma mai come oggi sanità e scuola sono finalmente dopo decenni di trascuratezza al centro delle priorità. L'emergenza impone cambiamenti radicali per non soccombere e si stanno facendo in tutta Italia».

Il boom di positivi al Genoa mette a rischio il campionato e fa andare nel pallone anche il governo: il viceministro della Salute Sileri e la sottosegretaria Zampa ieri hanno espresso pareri opposti su un eventuale stop, lei che idea si è fatto?
«Premetto che sono tifoso e amante del calcio, ma sono anche nella Protezione civile e abbiamo una regola fondamentale: in emergenza bisogna stabilire le priorità. La situazione è in evoluzione precaria, siamo circondati da paesi come la Francia con 14mila casi al giorno, abbiamo la riapertura delle scuole, con autunno e inverno alle porte con tutto il carico di influenza e patologie. Ci sono troppe variabili pericolose, non possiamo permetterci l'aggiunta di una nuova variabile come l'aggregazione sportiva. E lo stesso discorso vale per tutte le aggregazioni, comprese quelle musicali o ricreative in generale».

Qual è la soglia che farebbe scattare un nuovo lockdown?
«Escludo al momento la possibilità di avere un lockdown nazionale. Ma dobbiamo essere realisti, Israele ha chiuso, Francia, Spagna e Inghilterra non sono lontane dalle condizioni per un lockdown. Da noi i dati sono ancora perfettamente gestibili, ma attenzione, perché bastano due settimane a passare da condizioni tranquille a dati di grande preoccupazione. Bisogna monitorare i dati territoriali, i posti letto, le condizioni locali, intervenendo con chiusure territoriali, se necessario, per evitare di chiudere a livello nazionale. La cabina di regia dell'Istituto superiore di sanità e del ministero della Salute stanno monitorando le specificità regionali con grande attenzione, perché ogni territorio ha fragilità differenti. Le situazioni modificano da regione a regione. Quello che una regione può sopportare i termini numerici non è analogo a quello di un'altra. Il punto di rottura è il livello territoriale ed è precario, potrebbe essere lontano, ma anche relativamente vicino, ecco perché, tornando allo sport e a tutti gli eventi che nelle condizioni normali avrebbero un'importanza fondamentale nella nostra vita, in questo momento non hanno la priorità assoluta. La priorità ora va alla salute, la scuola e ai servizi essenziali. Oggi 8 contagi su 10 avvengono in famiglia, per questo è prioritario lavorare sulla scuola e per la scuola, affinché tutti, soprattutto i ragazzi che si credono in condizione di invincibilità si sentano coinvolti nella lotta a questa malattia. Dove non arriva poi il buon senso deve arrivare la politica e devo dire che sono fiducioso perché le regioni, incluse Lazio e Campania, intervengono in maniera netta e precisa rispetto alla prevenzione e alla gestione sanitaria, con il coraggio di imporre divieti e regole stringenti se servono. Le regole vanno scritte, ma anche fatte rispettare. Altrove, all'estero, non sono stati così bravi. L'Italia dev'essere unita nello sforzo, non ci sono più regioni a contagio zero: le regioni sono essenziali e devono essere solidali tra loro».

Miozzo, con i tamponi siamo a posto?
«Il sistema tamponi è ormai consolidato. Inoltre, due giorni fa come Cts abbiamo avallato la circolare della Salute che approva i test antigenici rapidi, che presto saranno utilizzabili in tutte le regioni. Il commissario Arcuri ha garantito la disponibilità di 5 milioni di test rapidi in poco tempo. Devo riconoscere lo sforzo ciclopico del governo e del commissario. Non possiamo utilizzare solo il tampone molecolare tradizionale perché si intaserebbe il sistema e i tempi di risposta sarebbero troppo lunghi. Non è pensabile bloccare intere scolaresche o luoghi di lavoro perché in alcuni territori per i tamponi tradizionali i tempi sono ancora lenti».

Lei ha rinunciato ad andare in pensione ed è rimasto a guidare il Cts. Com'è il clima nel comitato, si è parlato di aspri contrasti?
«Si diceva una volta, l'amore non è bello se non è litigarello. Litighiamo sempre e a volte ferocemente, ma poi prevale sempre il buon senso e il senso di responsabilità. In 109 riunioni non abbiamo mai chiuso senza avere il parere positivo di tutti sulle decisioni».

Il Cts è d'accordo al prolungamento dello stato d'emergenza al 31 dicembre come da più parti ipotizzato?

«Decide la politica, ma al momento non siamo stati investiti di questa richiesta. Aspettiamo i numeri di metà ottobre con gli effetti della scuola». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino