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Sfogliano la margherita quelli del Pd e tutti i petali cadono nel giardino di Giuseppe Conte, il premier azzoppato da Matteo Renzi, ma convinto di potere ritornare a correre con un'altra squadra con il rimpasto di Governo. Stanno davvero così le cose? Soprattutto dopo il colpo ricevuto dall'Udc che potrebbe uscire di scena dopo l'inchiesta calabrese che ha coinvolto il numero uno Lorenzo Cesa? Ecco, questo interrogativo lacera i dem e un mezzo tormento lo provoca. Apre i giochi il sempre più emergente Stefano Bonaccini, presidente dell'Emilia Romagna e della Conferenza Stato Regioni che rende molto più spigolosa la lapide con su scritto il motto ufficiale dei dem, «o Conte o al voto». «Se posso dare un consiglio non richiesto al presidente del Consiglio e alle forze di maggioranza, compreso il mio partito, il Pd, coinvolgano di più le parti sociali, gli amministratori locali». È poi la bomba: «Non bastano più senatori, serve un programma di legislatura nuovo, rafforzato, e anche una nuova squadra di governo». La sostanza politica delle parole di Bonaccini è che il buon Governo per trovarlo bisogna andare - ironia della sorte - a Firenze dove si trova il sindaco Nardella grande amico di Renzi, o dal primo cittadino di Bergamo Gori per fare un paio di esempi.
Di qui i tormenti dem, vale a dire rischiare di morire contiani, oppure imprimere la svolta identitaria al partito? Dalle parti della segreteria di Nicola Zingaretti non sono spaventati dal voto, anzi, se il premier non imprime la svolta del buon governo e non convince il partito la strada è quella delle urne. Più moderato, ma fa parte della sua natura, Dario Franceschini titolare di quella che una volta si chiamava la corrente AreaDem, che tradizionalmente ha sempre giocato un ruolo chiave nella stabilizzazione degli equilibri interni al partito. Pur avendo una pattuglia di governo e parlamentari ben nutrita, la tesi franceschiniana è che non è detto che andando al voto si controllino liste e soprattutto i parlamentari uscenti e in carica. Insomma, Conte al Parlamento potrebbe acchiappare qualche scontento del Pd di andare a casa. Più vicino ancora a Zingaretti c'è chi sostiene che sulla questione identitaria del partito il tema può essere capovolto. Cosa significa? Che oggi il M5S è più simile al Pd che viceversa, buttare Conte a mare, nella sostanza, significherebbe scassare anche la neonata alleanza. In parlamento è molto forte Base riformista, una delle correnti più recenti nata dopo l'addio di Renzi al Pd. I riferimenti sono soprattutto Lorenzo Guerini, Luca Lotti e il capogruppo al Senato Andrea Marcucci, tutti e tre ex renziani e oggi «diversamente renzani», che assieme a Delrio e alla sua area sono molto critici con la linea politica del partito, quindi con Zingaretti e Franceschini. A presidiare la sinistra del partito c'è Dems, che fa capo al vicesegretario Andrea Orlando.
Il Mattino