Brava Crusca. Ha messo il pennino in una stortura italiana, diventata più acuta nella fase dell’emergenza virus. Ovvero l’ipertrofia del regionalismo, per cui...
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Si sono rivolti all’istituzione fiorentina e italianissima alcuni cittadini, a proposito dell’uso di «governatore», e la risposta via web è questa: «Come il premier inglese non è previsto, né nel nome né nei poteri e ruoli, dalla nostra Costituzione, così i governatori non hanno posto nel nostro ordinamento». Firmato Vittorio Coletti, accademico e docente di storia della lingua italiana dell’università di Genova.
In Italia - secondo la Crusca, che ancora sta discutendo per esempio se si dice «il» Covid o «la» Covid, ma forse vale l’una e l’altra perché quel virus è un morbo ma anche una malattia - l’unico a potersi fregiare di questo titolo è il governatore della Banca d’Italia, come ha ricordato anche Antonio Patuelli, presidente di Abi. Il fatto è che i linguisti sembrano considerare fuori dalla realtà l’idioma della politica e ascrivono la consuetudine di certi vocaboli all’«americomania» che impazza. Che poi è la stessa - e la Crusca non ci sta: «Uno scarso amore per la nostra lingua rivela una scarsa attenzione ai temi dell’identità nazionale», dice il presidente dell’istituzione fiorentina, Marazzini - che ci fa dire smart working quando potremmo dire lavoro da fuori o da casa, o situation e non situazione, o lunch quando c’è il pranzo (che è più lungo solo di una lettera), o infinite altre espressioni anglosassoni sostitutive di parole italiane che esistono eccome e guai a dimenticarcele. La Crusca è anche quella che ha deciso di non accettare obbrobri del tipo: «Che cosa pensi del mio outfit?», oppure «Manda in print!» e via così con altri speach (ma non è meglio chiamarli discorsi?).
Intanto il mese scorso un cittadino si è rivolto alla Crusca - che nel 2019 già è intervenuta insieme al Consiglio di Stato perché le decisioni dei giudici e dei tribunali diventino «comprensibili a tutti con un linguaggio appropriato» - per chiedere: è corretto che Conte chiami Stati Generali i suoi incontri a Villa Pamphili? Risposta dell’Accademia: «Con l’antico istituto politico francese questo evento mantiene legami molto tenui». Ossia il premier, anche se non si dice premier, avrebbe dovuto trovare un’altra formula.
Il problema, come diceva Platone, è che «le parole false non sono male in se stesse. Ma infettano l’anima con il male». E possono infettare il discorso pubblico e le regole istituzionali. Il che non sfugge all’accademico Coletti. Lui vede dietro l’uso e l’abuso del termine governatore «l’ambizione dei capi delle giunte regionali» di esondare dai loro poteri, «specie dopo che il sistema elettorale li ha fortemente messi in rilievo». E insomma la Crusca - che non somiglia a un sinedrio di parrucconi, basti pensare che ha sdoganato il verbo whatsappare - è nettissima: «Con la parola governatore si avalla un (modesto) abuso istituzionale e si favorisce un evidente progetto politico. Chi non approva l’uno e non condivide l’altro farebbe bene a starci attento ad adottare questa espressione». Su cui ha lievitato l’Ego di troppi politici locali, e povera Italia.
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Il Mattino