Ddl Zan, Stato Confessionale o no? La questione mai risolta tra Italia e Santa Sede

Ddl Zan, Stato Confessionale o no? La questione mai risolta tra Italia e Santa Sede
«Parlarsi, confrontarsi...». Gennaro Acquaviva, il consigliere politico di Bettino Craxi a Palazzo Chigi sulle questioni religiose, il socialista-cattolico che...

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«Parlarsi, confrontarsi...». Gennaro Acquaviva, il consigliere politico di Bettino Craxi a Palazzo Chigi sulle questioni religiose, il socialista-cattolico che rappresentò l’anima della revisione del Concordato tra Stato e Chiesa del 1984, qualche giorno fa si augurava che la querelle sorta tra il governo italiano e la Santa Sede dopo la richiesta formale della Santa Sede di modificare il disegno di legge sulla omotransfobia, l’ormai celebre ddl Zan, potesse prendere questa strada. «Parlarsi, confrontarsi»: cioè non rinchiudersi a riccio nella difesa pregiudiziale delle rispettive ragioni. Acquaviva, da parte sua, non si limitava a un’opzione di metodo, ma nello specifico riteneva che la Santa Sede in questo caso non sia nel torto: «Dal suo punto di vista la libertà e l’autonomia della scuola cattolica vengono messe a rischio se è obbligata a fare qualcosa che va contro la propria coscienza, i propri principi».

Questo la Chiesa. E lo Stato? In una coincidenza di date che pare guidata da un ordine chissà dove prestabilito, nel giorno del quarto anniversario dalla morte di un giurista garante del pensiero laico, di Stefano Rodotà, il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha affermato che «il nostro è uno Stato laico, il Parlamento è sempre libero di discutere». Legittimamente rimandando il tema all’attenzione di Camera e Senato, ha così riaperto un caso in fondo mai chiuso. Quello del rapporto tra Stato italiano e Santa Sede, un nodo mai sciolto nella vicenda non soltanto nazionale, se è vero che Pietro Dubolino, presidente emerito della Cassazione, in un dettagliato articolo-saggio su «L’Opinione delle libertà», riflettendoci prende le mosse dall’epoca di Teodosio il Grande, fine IV secolo dopo Cristo, quando riconoscendo il Cristianesimo unica religione dell’Impero romano si assumeva la dimensione doppia della confessionalità e della laicità. Certo, dopo ci sarebbero stati secoli di Storia, Porta Pia e i concordati del 1929 e del 1984: ma l’impressione è che i conti non siano stati mai davvero tirati e che la loro entità pesi ancora. 

Roberto Esposito, filosofo napoletano e docente di Filosofia teoretica alla Scuola Normale Superiore di Pisa, raffinato analista delle dinamiche della politica, è convinto che la natura del problema sia antropologica, prim’ancora che politica. «C’è una specificità – spiega – e riguarda la funzione pedagogica che è stata svolta dal partito della Democrazia Cristiana in più di mezzo secolo. Il ricorso costante alla Chiesa e spesso la ricerca della sua ingerenza nel campo della politica hanno costituito un elemento portante nella gestione del Potere. Oggi certe intromissioni, specie su argomenti che hanno a che vedere con l’uguaglianza dei diritti e il rispetto delle differenze, non appaiono più sopportabili». 

«Acquisito soltanto nella sua forma immediata, il pronunciamento di Draghi pare provenire da anni lontani. – osserva Agostino Giovagnoli, storico all’Università Cattolica di Milano e studioso dei rapporti tra Stato italiano e Chiesa Cattolica. dice – In linea di principio non può non essere condivisibile, ci mancherebbe altro che nell’Italia del 2021 si metta in dubbio la laicità dello Stato e l’autonomia del Parlamento. Eppure, starei attento e raccomanderei di ascoltare per intero il discorso del presidente. Altrimenti si corre il rischio di entrare in contraddizione con uno strumento pattizio come il Concordato del 1984, che ha il valore di un accordo internazionale tra due Stati».

Insomma, - tornerebbe a raccomandare Acquaviva – necessario parlarsi e confrontarsi. Recuperando, ad esempio, quanto ribadiva nel settembre del 2006 un laico per eccellenza come Valerio Zanone: «La laicità dello Stato non è una scatola vuota, è il rispecchiamento istituzionale del laicismo etico, ossia dell’etica che assume come valore, e quindi come diritto inalienabile dell’individuo, la libertà di coscienza. I laici non sono i guardiani di una stanza vuota di valori, perché l’etica laica, l’etica che non pretende certezza di verità assoluta e perciò garantisce la tolleranza ed il dialogo, è fondata sul valore della libertà di coscienza, primo e fondamentale diritto riconosciuto dal costituzionalismo liberale. Se si accetta la laicità dello Stato non si possono accettare etiche di Stato. Lo Stato laico è neutrale, non vuoto».

Possibile? «Guardi, Mario Draghi ha ragione. All’80 per cento», è il parere di Gianfranco Pasquino, politologo e professore emerito di Scienza politica all’Università di Bologna. Perché l’80? «Lui ha dimostrato di avere un rigore unico e di pensare a ciò che dice. Da ammirare. Il 20 per cento riguarda la quota di sensibilità che sull’argomento potrebbe riscontrare all’interno della classe politica e della società italiana». Che cosa intende dire? «Che gli italiani di tutti i colori politici hanno eletto in Parlamento rappresentanti del popolo che calpestano i valori dello Stato laico. Siamo tornati indietro di decenni e abbiamo dimenticato che proprio grazie a democristiani come Alcide De Gasperi in Italia lo Stato aveva acquisito e difeso la sua laicità. Ora si preferisce votare chi strumentalizza la religione per mediocre opportunismo. Finché durerà questo andazzo, ci sarà poco da sperare». 

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Il Mattino