De Mita, Formica: «Era impaziente, l’azione divorava il suo pensiero»

De Mita, Formica: «Era impaziente, l’azione divorava il suo pensiero»
Rino Formica, lei da socialista, e Ciriaco De Mita, non ve le mandavate a dire anche quando stavate al governo assieme. Nell’83 la definì «matto in...

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Rino Formica, lei da socialista, e Ciriaco De Mita, non ve le mandavate a dire anche quando stavate al governo assieme. Nell’83 la definì «matto in libertà» e lei rispose «cafone di Nusco».

«Erano altri tempi, nella Prima Repubblica la dialettica accesa serviva a sostenere il pensiero politico o la strategia politica del momento. Era un mezzo. Oggi l’improperio ha preso il posto della sostanza politica. Allora c’era rispetto nella diversità». 

Quale era il pensiero politico dell’ex segretario della Dc?
«È stato il leader di quella parte della Dc che voleva un vero cambiamento. Voleva conciliare il popolarismo di Sturzo con l’autonomia di De Gasperi e il dirigismo economico». 

Perché non si realizzò? 
«Perché De Mita, come molti della nostra generazione, aveva una forte capacità di rottura ma non è stato capace di far maturare e macerare questo cambiamento nelle coscienze popolari. In genere chi produce il cambiamento non è in grado di attuarlo. Avvenne anche con quelle forze politiche che nel 1946 nacquero dalla contrapposizione e dalla sconfitta del fascismo».

De Mita però ha potuto esercitare il potere da segretario e da premier almeno 30 anni dopo. 
«Non stiamo parlando di governo ma di creare una partecipazione politica nei cittadini permanente e non del momento». 

Mi dia una definizione secca di De Mita.
«Aveva una grande volontà di tradurre il pensiero in azione, ma l’azione poi prevaleva e divorava il pensiero. De Mita è sempre stato un impaziente». 

Lei è stato suo ministro. Come era da premier?
«Rispettoso. Non interveniva mai nell’elaborazione dei provvedimenti. Aveva ereditato da De Gasperi il massimo rispetto delle istituzioni e della loro autonomia nelle scelte». 

Quindi c’erano due De Mita: uno di governo e uno di lotta politica?
«Ecco la lotta politica lo portava ad alternare con gli altri partiti ostilità e grandi aperture». 

Con voi socialisti?
«Era contraddittorio. Da una parte lavorava per essere alternativi e dall’altra proponeva alleanze strategiche». 

I rapporti con Craxi? 
«Si capivano molto».

Insomma. Il leader socialista gli soffiò il posto a Palazzo Chigi.
«Non so se il famoso patto della staffetta del 1983 fu un vero percorso politico o un accordo personale. Ricordo però che a proporre Craxi premier fu la delegazione dc guidata da De Mita. Quando i rapporti di fondo tra due persone sono cementati è più facile capire e accettare rotture momentanee».

De Mita e Moro?
«Con la sinistra il loro disegno era opposto. Moro voleva cooptare nel governo le aree politicamente con origini non democratiche nel governo attraverso un punto di equilibrio che doveva essere sempre la Dc. De Mita invece era per l’alternanza. Ammetteva che i cattolici potessero andare in minoranza a patto però ci fosse stata nella sinistra una maturazione politica».

Dei comunisti anche?
«No, i rapporti con i comunisti erano ostili. De Mita guardava ai socialisti che avrebbe voluto però vedere diversi da quelli che erano. Più simili alla trasformazione della sinistra in Germania, Francia e Spagna». 

De Mita e Andreotti?
«De Mita era molto più laico nel rapporto politico tra Dc e Chiesa»

Cosa intende per laico?
«Andreotti era per un governo dell’Italia e del Vaticano ridotti a una sola figura. De Mita era per i due governi: il partito da una parte la Chiesa dall’altra. Sempre nel rispetto della Chiesa ma senza subordinazione».

De Mita e il Pd?


«L’ultimo dibattito che facemmo fu nel 2015 sui referendum di Renzi. Diceva di essere in una fase di revisione politica. In realtà era finito da tempo prigioniero di una sinistra salottiera.

f. m.

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Il Mattino