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E alla fine, scissione fu. Luigi Di Maio lascia il Movimento 5 stelle, la creatura di cui più di ogni altro insieme a Beppe Grillo ha incarnato il volto dai tempi dell’esordio in parlamento. «Una scelta sofferta che mai avrei immaginato di fare» dice il titolare della Farnesina attorniato dai suoi, riuniti all’hotel Bristol di Piazza Barberini. «Non ho intenzione di costruire una forza politica personale», sottolinea Di Maio, «ma era il momento di dire basta alle ambiguità: l’operato di Draghi dev’essere motivo di orgoglio, lo sosterremo con lealtà. Il governo – assicura il ministro – oggi esce rafforzato». Subito prima dell’annuncio, intorno alle 20,30, il passaggio al Quirinale, per informare Sergio Mattarella. Un colloquio, secondo quanto trapela, fissato quattro giorni fa: segno che la decisione era già presa da tempo. Se ne va, il ministro degli Esteri, insieme a una sessantina di parlamentari in rotta con la linea tentennante sull’Ucraina di Giuseppe Conte. Ma lo scontro, ormai, era tracimato ben oltre. «Le posizioni erano così distanti che restare non avrebbe avuto più alcun senso», la spiega a metà pomeriggio l’ex sottosegretario Vincenzo Spadafora, scuro in volto. «Era questione di ore». Il gruppo dei dimaiani si chiamerà «Insieme per il futuro». Sarà anche un partito, con simbolo e tutto quanto? «Vedremo», non si sbilanciano gli scissionisti. A Montecitorio a seguire il titolare della Farnesina sono circa 50 deputati: pattuglia più che sufficiente per far nascere una nuova formazione (e per far perdere ai cinquestelle il primato di gruppo più numeroso in favore della Lega). A Palazzo Madama invece si va verso la nascita di un sottogruppo del Misto, con (forse) 11 senatori. «C’è molto entusiasmo», si esaltano gli uomini di Di Maio, «puntiamo ai 60 iscritti».
I nomi dei transfughi si rincorrono per tutto il pomeriggio, con le liste di fuggiaschi veri o presunti che rimbalzano da una chat all’altra.
Il Mattino