Dj Fabo, la Consulta: «Aiuto al suicidio lecito in casi estremi»

Dj Fabo, la Consulta: «Aiuto al suicidio lecito in casi estremi»
È giusto o, almeno, accettabile dal punto di vista costituzionale, punire chi aiuta un suicida anche non istigandolo. Ma la legge dovrà occuparsi di alcune...

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È giusto o, almeno, accettabile dal punto di vista costituzionale, punire chi aiuta un suicida anche non istigandolo. Ma la legge dovrà occuparsi di alcune specifiche situazioni, «inimmaginabili all'epoca in cui la norma incriminatrice fu introdotta, capaci di strappare alla morte pazienti in condizioni estremamente compromesse, ma non di restituire loro una sufficienza di funzioni vitali». La Corte costituzionale ha depositato ieri le motivazioni - tutto sommato in tempi rapidi - dell'ordinanza con cui lo scorso 24 ottobre ha rinviato di un anno la valutazione della legge che attualmente punisce ogni forma di cooperazione al suicidio, dando un anno di tempo al parlamento per intervenire con regole chiare sull'argomento.

 
La richiesta di una nuova normativa ha limiti chiari: i legislatori non dovranno occuparsi di ogni forma di aiuto pratico a chi decide di togliersi la vita, ma solo di chi davvero, avendo fatto questa scelta non può darle seguito perché in condizioni di salute troppo gravi. Insomma, un'interpretazione più restrittiva di quella avanzata dalla Corte d'assise di Milano. Quest'ultima nel processo che vede imputato Marco Cappato per aver accompagnato in una clinica svizzera per suicidarsi «dj Fabo» ridotto tetraplegico e cieco da un grave incidente, aveva messo in dubbio la costituzionalità dell'articolo 580 del codice penale, sostenendo che l'incriminazione delle condotte di aiuto al suicidio, non rafforzative del proposito della vittima, fosse in contrasto con i principi sanciti dagli articoli 2 e 13 della Costituzione, dai quali discenderebbe la libertà della persona di scegliere quando e come porre termine alla propria vita. La Corte costituzionale non è del tutto d'accordo. E ha ritenuto che il divieto di aiuto al suicidio ha una sua «ragion d'essere» soprattutto nei confronti delle persone vulnerabili, che potrebbero essere facilmente indotte a concludere prematuramente la loro vita, «qualora l'ordinamento consentisse a chiunque di cooperare anche soltanto all'esecuzione di una loro scelta suicida, magari per ragioni di personale tornaconto». La sentenza evidenzia anche che lamentalità sull'argomento è cambiata, specie dal 1930 ad oggi: «Non è affatto arduo cogliere oggi la ratio di tutela della norma alla luce di un mutato quadro costituzionale, che guarda alla persona umana come a un valore in se, e non come semplice mezzo per il soddisfacimento di interessi collettivi». Pertanto, non si può ritenere vietato al legislatore punire condotte che «spianino la strada a scelte suicide, in nome di una concezione astratta dell'autonomia individuale che ignora le condizioni concrete di disagio o di abbandono nelle quali, spesso, simili decisioni vengono concepite». Tuttavia, ci sono casi in cui il diritto di scelta va tutelato: «Il riferimento - scrive la Corte - è, più in particolare, alle ipotesi in cui il soggetto agevolato si identifichi in una persona (a) affetta da una patologia irreversibile e (b) fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili, la quale sia (c) tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma resti (d) capace di prendere decisioni libere e consapevoli. Si tratta, infatti, di ipotesi nelle quali l'assistenza di terzi nel porre fine alla sua vita può presentarsi al malato come l'unica via d'uscita per sottrarsi a un mantenimento artificiale in vita non più voluto e che egli ha il diritto di rifiutare».


Opposte le reazioni. Filomena Gallo, l'avvocato di Cappato e segretario dell'associazione Luca Coscioni ammette che si pare da «un quadro di sostanziale conferma delle tesi tradizionali, ma «la Consulta perviene ad una piena pronuncia di parziale accoglimento». Fortemente critico Gaetano Quagliariello, leader di Idea: «Tutto avremmo potuto pensare fuorché dover leggere un giorno un'ordinanza della Corte Costituzionale che sostanzialmente dà un ultimatum al legislatore affinché sia consentito sopprimere un altro essere umano». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino