OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
La guerra non è finita, ma loro pensano già al dopo, alla ricostruzione, agli agricoltori che devono tornare nei campi, ai bambini e ai ragazzi che devono tornare a scuola, ai profughi che devono tornare a casa. Per farlo, i cortili, i campi e le strade delle regioni ucraine che fino a poche settimane fa erano campi di battaglia devono essere setacciate metro per metro, perché ogni passo può essere falso. Dove si sono ritirate, le forze russe hanno lasciato una guerra più lenta, che continua uccidere dopo giorni e mesi: quella delle mine e degli ordigni inesplosi.
Elena - 37 anni ma ne dimostra molti di meno - ha abbandonato per il momento la sua professione di istruttrice di fitness e lavora adesso in una delle squadre che l’Ong Danish Refugee Council ha formato per mettere in sicurezza pezzi di terra ucraina. «Sono stata addestrata - dice in un video, con i capelli biondi raccolti, il casco e la visiera, in mezzo a un terreno agricolo del sud ovest dell’Ucraina – Quello che è davvero importante è essere consapevoli di quello che stiamo facendo e seguire pedissequamente le regole e i protocolli di sicurezza che abbiamo imparato». Sono una decina le squadre che il Drc ha inviato a bonificare questa campagna assolata che costeggia la Moldavia. Sono quei campi di grano di cui si parla tanto in Europa. Sarebbe quasi il tempo del raccolto, ma nessuno ha potuto accompagnare le coltivazioni dopo la semina, nessuno è potuto ancora tornare a raccogliere. Quelli che ci lavorano per ora indossano tutti delle tute blu antiproiettile, caschi e visiere. Avanzano a passo lentissimo, tenendo in mano una sorta di tubo rigido che li circonda: è un metal detector.
Per localizzare mine e ordigni resta lo strumento più efficace e affidabile: ricorda un attrezzo da giardino.
I cartelli con la scritta nera: “Mine”, sono vecchi, sono stati usati già tante volte in Ucraina, sono tornati di nuovo nelle campagne, ma anche in alcuni quartieri delle città bombardate e ancora semideserte. «Sappiamo come fare – continua Le Merle – E sappiamo che la cosa più importante adesso, nelle zone in cui non si combatte più e in cui non cadono più bombe, è consentire alla gente di tornare nelle loro case, agli agricoltori di tornare nei loro campi. Nello stesso tempo dobbiamo informarli dei rischi che esistono, non solo nei terreni, ma anche per le strade, le piazze e i cortili che a loro sembrano più familiari».
Leggi l'articolo completo suIl Mattino