Il primo “pentito” cinese incastra i narcos di shaboo. Il gip: "ecco perché non fanno concorrenza alle mafie nostrane"

Una cellula a Prato e una a Roma, con a capo due donne. «I più forti in Italia». Il gip: «Scelgono le droghe sintetiche per non concorrere con le mafie nostrane»

Il primo “pentito” cinese incastra i narcos di shaboo
Grazie al primo “pentito” cinese in Italia, i pm della Direzione distrettuale antimafia di Roma sono riusciti a far luce su una comunità impenetrabile, che...

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Grazie al primo “pentito” cinese in Italia, i pm della Direzione distrettuale antimafia di Roma sono riusciti a far luce su una comunità impenetrabile, che cerca di rimanere invisibile per continuare a gestire i propri affari senza attirare l’attenzione delle forze dell’ordine. Così i carabinieri del nucleo operativo della Compagnia di Roma centro sono arrivati a scoprire un’associazione a delinquere di matrice cinese finalizzata al traffico nazionale e internazionale di metamfetamine (shaboo, yaba, ketamina) e dedita allo sfruttamento della prostituzione; che ha una “cellula madre” a Prato e due “cellule satelliti” a Roma e Padova. Il gip del Tribunale capitolino ha emesso 47 misure cautelari nei confronti di altrettanti cinesi, filippini e italiani: 19 custodie cautelari in carcere, 16 arresti domiciliari e 12 divieti di dimora. A capo di questa organizzazione che importava droghe sintetiche, tramite pacchi spediti da Spagna, Olanda e Grecia con i corrieri espressi, c’era Liuying Hu (detta “Aquila”): una 39enne che - stando a quanto rivelato dal collaboratore di giustizia suo connazionale - «decideva come e quando inviare lo stupefacente a Roma», costringendo sia i fornitori (come “il Greco”) sia il capo della cellula romana a versarle una sorta di tassa per il solo transito in Italia delle metamfetamine, pari a 2 euro al grammo.

 
LA STRATEGIA CRIMINALE
Quello che «fa sicuramente riflettere e deve ritenersi allarmante - secondo il giudice delle indagini preliminari Simona Calegari - è proprio la scelta dello stupefacente da produrre e distribuire, corrispondente a una precisa strategia criminale. Una scelta estremamente logica e intelligente, volta a non entrare in concorrenza con le compagini mafiose italiane (cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra), protagoniste assolute di un impenetrabile oligopolio nel traffico delle droghe “tradizionali”». Dalle indagini dei carabinieri, condotte da settembre 2021 a luglio 2022, «è emersa una nuova organizzazione criminale particolarmente dinamica, mutevole e fluida, soprattutto nei livelli di vertice, caratterizzata da un elevato turnover nei ruoli e nei compiti»; in sostanza «“meritocratica”, dove il ruolo di potere si “guadagna” e si mantiene fin tanto venga conseguito il risultato connesso al profilo ricoperto». Una «struttura piramidale» - precisa il gip - «diffusa e ramificata sul territorio», «composta da singole cellule operative», che utilizza sistemi di messaggistica istantanea cinesi (WeChat e Ding Talk) difficilmente intercettabili. Per di più i membri del sodalizio usano nickname fantasiosi: “Elefante”, “Gatto dalla faccia grande”, “Mao Mao”, “Vecchio nero”, “Ciccio”.


«Prato è il punto di riferimento di tutta l’Italia per lo shaboo, che proviene dalla Spagna o dalla Francia», ha riferito agli inquirenti il “pentito”, spiegando che si tratta di un business di esclusiva pertinenza della criminalità organizzata cinese. L’organizzazione, su cui indagano i pm Francesco Basentini e Francesco Minisci, «è la prima in Italia per lo smercio di questo tipo di stupefacente. Queste persone - ha raccontato il collaboratore nell’interrogatorio del 10 novembre 2021 - si spartiscono di comune accordo le varie zone d’Italia dove vendere e hanno una rete di spacciatori sotto di loro (...) A Roma il prezzo dello shaboo per il consumatore è di 120 euro al grammo, mentre per gli spacciatori è di 65 euro al grammo (...) Il consumo dello stupefacente nella Capitale ammontava a circa 1,5 chili di shaboo al giorno. Arrivava direttamente da Prato e veniva stoccato e nascosto in più zone». 


CONTI SEGRETI E MINACCE


Il denaro ricavato dallo spaccio, poi, «è trasferito su conti Alipay o WeChat e cambiato in moneta cinese, tramite negozianti che trattengono una piccola commissione», ha precisato il pusher cinese “pentito”, dicendo che lui stesso contattava «un uomo che frequenta piazza Vittorio e che utilizza un furgone bianco». «Nel 2020 a Natale, tramite WeChat ho ricevuto un messaggio con la foto di una pallottola - ha raccontato il collaboratore ai carabinieri - Xiaobo Wang (detto “il Nero”) una volta mi ha videochiamato, minacciandomi: “Non hai paura di morire?”. Questo perché stavo con la moglie di Wang Jandong, e poi anche perché ho fatto arrestare una persona». Il pentito era stato legato affettivamente anche a un’altra connazionale di 35 anni, trovata morta, strangolata, l’11 febbraio 2010 in un appartamento di via Pietro Rovetti, a Torpignattara.
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Il Mattino