La tempesta perfetta. Con tutti i personaggi chiave del M5S sott'accusa che a loro a volta si rinfacciano mancanze a vicenda. E se allora Luigi Di Maio si dice in diverse...
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«Noi» e «lui», Matteo Salvini, che dopo aver strapazzato alle urne abruzzesi gli alleati li rincuora facendo sapere loro, quasi carezzandoli sulla nuca, che «tanto non cambia nulla per il governo, tranquilli amici».
Una frase che potrebbe essere ripetuta tra due settimane per le regionali in Sardegna, e magari anche per le Europee. Ecco perché, come nei momenti più duri del M5S, è pronto a dare una mano Beppe Grillo. Il Garante già nei giorni scorsi ha ospitato sul suo blog un intervento molto politico sulla Ue e ieri ha assicurato che, visto il momento duro e delicato, ci sarà anche lui in campagna elettorale. Il problema di queste ore però è chiaro: trovare una linea comune. E, meglio sarebbe, anche un capro espiatorio. Non è un caso che ieri Di Maio, iper social, non abbia battuto un post per tutta la giornata. Scomparso. «La sua leadership non è in discussione», assicura il senatore Primo Di Nicola, l'unico volto grillino andato in tv domenica notte a commentare la disfatta abruzzese. Mancano le contromosse, però. E risultano pannicelli caldi anche le indiscrezioni - intercettate dall'Adnkronos - che vedrebbero i vertici dei pentastellati pronti a rivedere un'altra regola d'oro: l'unicità della lista. Che, d'ora in poi, potrebbe essere accompagnata anche da altre formazioni civiche, per evitare così l'effetto tutti contro i grillini.
Ma il problema è la gestione dei gruppi e della base. In una giornata da psicodramma - degna delle migliori analisi del voto della sinistra - è toccato al premier Giuseppe Conte assicurare ai naviganti che «dureremo 4 anni». Una mossa anche questa che lascia il tempo che trova. Perché è proprio Di Maio, che una senatrice accusa di essere afflitto «dalla sindrome di Stoccolma» nei confronti di Salvini, a dover uscire dall'angolo.
E dunque all'esterno da oggi la linea sarà quella di «minimizzare» il test abruzzese, equiparandolo con quello di cinque anni fa che andò allo stesso modo, percentuali alla mano. Il capo politico è «deluso» per l'esito certo, ma in un certo senso lo aveva messo in conto perché questi test con il turno unico hanno quasi sempre lo stesso canovaccio. «Andate avanti tranquilli, il governo è solido. Ora nuova agenda». Alessio Villarosa, sottosegretario all'Economia, dice rigirando il punto di vista che il «problema non è nostro: le regionali sono sempre così». Allo stesso tempo, Di Maio assicura che non ci saranno ripercussioni sul caso Diciotti: nessuna rappresaglia sull'autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini. «Scaricare il M5s avrebbe ripercussioni molto forti anche sull'elettorato leghista», è il messaggio del capogruppo petastellato Stefano Patuanelli.
La linea è quella del «no» al processo. Il sottosegretario agli Affari regionali Stefano Buffagni ammette: «La Lega grazie a noi vive di luce riflessa. La gente ci ha mandato al governo per cambiare le cose, quindi dobbiamo darci da fare il triplo. Stiamo continuando a lavorare, fino alle Europee ci sono tante cose da risolvere». Se Roberto Fico preferisce non commentare, la senatrice Paola Nugnes dice che di Di Battista «è stato fatto un uso pessimo: o si è sottovalutata la gente o si è sovrastimata la capacità comunicativa di un messaggio privo di contenuto». E la collega Elena Fattori parla «di ideali traditi» e anche lei se la prende con Dibba: «Non è mica un reality o Amici». La crisi così rischia di annodarsi su stessa. E intanto sono in molti, tra deputati e senatori, a chiedere a Di Maio una riflessione collettiva. Un'assemblea. «Minimizzare non basta: oggi è l'Abruzzo, domani la Sardegna, Matteo ci usa». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino