Il silenzio dura fino a quando lo spoglio non dà la certezza della vittoria di Alberto Cirio in Piemonte. Solo allora, buon ultimo tra i leader, Silvio Berlusconi si decide...
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Silvio Berlusconi prova a fare buon viso a cattivo gioco, sente Matteo Salvini per complimentarsi dell'exploit. Il mantra è quello di ribadire che il suo partito resta importante per il centrodestra a dispetto della decantata autosufficienza su cui puntano gli ex alleati. «A livello locale come a livello nazionale appare evidente che l'unico progetto credibile e vincente è quello del centrodestra unito, all'interno del quale Forza Italia rappresenta la componente centrale e indispensabile». Una centralità che vuol far valere anche in Europa: oggi sarà a Bruxelles al vertice del Ppe e avrà un incontro con il leader ungherese, Vikctor Orban. «Solo io ha ripetuto più volte posso mediare tra sovranisti e Popolari».
Ieri il leader azzurro ha analizzato il voto nella solita riunione del lunedì con aziende e famiglia e convocato le due capogruppo, Mariastella Gelmini e Annamaria Bernini, ad Arcore. Berlusconi, dicono, sarebbe molto arrabbiato per il risultato complessivo seppure nella convinzione di aver fatto «tutto il possibile». Il Cavaliere, candidato in tutte le circoscrizioni tranne il Centro, porta a casa oltre 500mila preferenze. Il partito regge soprattutto al Sud e nelle Isole, dove ottiene rispettivamente il 12,28% dei consensi e il 14,77% e tiene nella circoscrizione Nord Occidentale, dove arriva all'8,8%. Consensi irrisori invece nella circoscrizione Nord-Est (%5,83%) mentre non convince il risultato nell'Italia centrale, in cui le liste erano guidate da Antonio Tajani.
L'analisi è dunque impietosa: Berlusconi tira ancora, ma dietro il partito è rimasto evanescente. Ed è già partita una richiesta pressante di rinnovamento. Toti non conferma ancora il suo approdo nella seconda gamba sovranista che Giorgia Meloni sta costruendo, ma ribadisce la sua linea critica. E il partito è ormai diviso in fazioni. Mara Carfagna, a capo dell'ala sudista, dice apertamente che bisogna «fare punto e a capo» che serve un partito «non uno staff». Nel suo mirino, infatti, finisce anche l'inner circle dell'ex premier (che però Berlusconi difende). In molti, a cominciare da Gelmini, chiedono un congresso. Bernini invita tutti, nessuno escluso, all'autocritica e a non liquidare sbrigativamente istanze come quelle di Toti. Berlusconi prova a stoppare sul nascere le polemiche e annuncia la convocazione per giovedì di un ufficio di presidenza per «avviare un percorso di rinnovamento condiviso» e dare il via a una «guida collettiva». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino