Ed ora? Dalle prime dichiarazioni della Lega, vincitrice delle elezioni, emerge una possibile agenda per l'azione di governo: revisione del fiscal compact, flat tax, Tav...
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L'autonomia differenziata si può fare: produce un enorme risultato immediato di annuncio, ed effetti concreti profondi, normativi e finanziari, ma solo nel tempo. Chi ci guadagna lo sa subito; chi ci perde potrebbe rendersene conto solo negli anni, quando ormai sarà troppo tardi. Il perché è stato spiegato più e più volte su queste colonne. Dal punto di vista dei contenuti, il progetto ha una dimensione enorme, coprendo quasi tutto l'intervento pubblico in Italia: basti dire solo che segnerebbe la fine della scuola pubblica nazionale italiana che esiste da 168 anni.
Uno dei tanti aspetti interessanti è che i suoi sostenitori proclamano che farà del bene a tutto il Paese, ma si guardano bene dal rendere pubblici i testi degli accordi già raggiunti fra Veneto, Lombardia, Emilia Romagna e il governo. Dal punto di vista finanziario, le disposizioni oggi previste possono portare nel campo dell'istruzione ad un sostanziale spostamento di denaro in favore di Veneto e Lombardia, impoverendo ancora di più il già debole sistema della scuola del Centro-Sud; potrebbe riorientare gli investimenti pubblici. Soprattutto, potrebbe garantire alle tre regioni risorse certe, anche in caso di revisioni della spesa o crollo del gettito fiscale, lasciando il debito pubblico sulle spalle di tutti gli italiani.
Sul piano procedurale, infine, la portata dell'operazione non può che implicare una lunga e informata discussione e decisione parlamentare; mentre il pericolo è che alle Camere arrivi un testo solo di principi e che tutto il potere finisca poi nelle mani di commissioni paritetiche Stato-Regione, senza che il Parlamento controlli più nulla.
Questo è lo scenario che ha davanti il Movimento 5 Stelle. Che certo oggi è assai più al corrente di questo tema e delle sue conseguenze molto più di quanto lo fosse al momento di sottoscrivere improvvidamente il Contratto di governo. E che è conseguentemente chiamato a decisioni importanti per il Paese e per il suo stesso futuro: perché accettare ora un'imposizione leghista pur avendo sempre un numero di parlamentari assai maggiore lo porterebbe a consumare velocemente il residuo, non piccolo, consenso di cui gode nel Centro-Sud ed in particolare nel Mezzogiorno: dal 18% circa di Lazio e Marche al quasi 34% in Campania.
E questo è lo scenario che ha davanti il Partito Democratico. I dati parlano chiaro: un partito che certo ha evitato una pesante sconfitta, ma che non ha comunque avuto un grande risultato in termini di voti. E che va molto meglio nelle città che nelle campagne (ad esempio 44% a Firenze contro 33 nella Toscana tutta); e molto meglio al Nord che al Sud (quasi 24% in Piemonte, meno del 17 in Puglia e Sicilia). Se vuole conquistare e riconquistare elettori deve ricominciare ad occuparsi dell'Italia che non vive nei centri delle città più forti; e quindi, necessariamente, uscire dalle molte ambiguità su questo tema. Un conto è proporre una equilibrata riflessione sulle autonomie regionali, sui meccanismi di finanziamento, sul livello essenziale dei servizi di cui deve godere ogni italiano; un conto è tacere, spesso ammiccando, sullo spacca-Italia.
Certo è un paradosso. La politica ha completamente rimosso, da tempo e sia a destra che a sinistra, il tema dello sviluppo del Sud, della formazione delle sue classi dirigenti, dei diritti dei suoi cittadini. Ma i dati di ieri confermano che il voto del Sud, dei suoi tanti astenuti, dei sostenitori dei 5 Stelle, di quanti sono stati ammaliati dal fascino leghista, rimane quello che deciderà le prossime elezioni politiche. Finita una pessima campagna elettorale, sarebbe ora di occuparsene seriamente, per il bene e lo sviluppo dell'intero Paese: a cominciare dagli enormi pericoli della secessione dei ricchi. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino