Non è un caso. Non lo è affatto. Perché vista la rimozione del tema Mezzogiorno dall'azione del governo e la scarsa centralità della questione...
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Non stupisce la scelta geo-politico-elettorale dei vicepremier nell'ultimo giorno di gara, perché fa emergere appunto un dato di fatto: l'abbandono del Mezzogiorno nelle politiche dei giallo-verdi. A dispetto di tutti i proclami sia di Salvini sia di Di Maio. E nonostante la ministra per il Sud, Barbara Lezzi, ripeta che «finalmente questa parte d'Italia con il nostro governo torna ad avere quanto gli spetta». Ma la lista degli interventi - per esempio «l'aumento dal 28 al 34 per cento delle risorse ordinarie dello Stato per il Mezzogiorno», in realtà la norma l'aveva fatta il governo di centrosinistra, con Delrio - non sembra sufficiente a rovesciare una situazione che vede il progetto autonomista, voluto dai governatori del Nord e non ancora abbandonato, come uno SpaccaItalia a tutto detrimento delle regioni più deboli. Mentre le polemiche salviniste-lumbard contro il SalvaRoma rappresentano la riprova di quanto si voglia indebolire il ruolo della Capitale, anche come garante degli interessi di tutte le parti della nazione.
I duumviri giallo-verdi che scelgono altre latitudini, lontane dal Mezzogiorno, avrebbero potuto scegliere il Sud come luogo cruciale della battaglia, sottolineando quanto il riscatto del Mezzogiorno d'Italia sia o dovrebbe essere un tema europeo per eccellenza. Come hanno insegnato i migliori meridionalisti - parola desueta, purtroppo - da Pasquale Villari a Gaetano Salvemini. E invece, niente. Non a caso nel Contratto di governo il Sud non esiste, se non in due righette banali e pure sgrammaticate, e nella prima stesura del documento neppure veniva citato. Nell'illusione, di Salvini e non di Di Maio ma Luigi non s'è battuto evidentemente, che il Nord possa ricominciare a correre tirandosi dietro un Sud impoverito e spolpato. E invece c'è da dubitare assai - come scrive l'economista Emanuele Felice nel suo nuoco saggio: «Il Sud, l'Italia, l'Europa» (Il Mulino) - «che sia possibile rimettere in carreggiata il nostro Paese senza il contributo attivo della società e delle istituzioni meridionali: senza, quindi, un loro cambiamento profondo».
Ma occhio anche a Nicola Zingaretti e a Emma Bonino: chiudono a Milano. La Meloni - che pure insieme a Tajani è stata la più combattiva nella battaglia per gli interessi di Roma minacciati dal nordismo di ritorno - conclude prima a Torino, poi a Bergamo. Silvio Berlusconi niente piazze, solo maratona tivvù. Per quanto riguarda i gialloverdi, il Mezzogiorno disertato alla fine di questa corsa è il Mezzogiorno snobbato lungo l'intero anno del governo Conte. Anche se il premier più volte, e anche in occasione della bella vittoria di Matera come capitale europea della cultura, ha ripetuto: «La diseguaglianza tra Nord e Sud rappresenta una profonda ferita nel nostro Paese. Proprio per questo il riscatto del Mezzogiorno è oggi una priorità a vocazione nazionale». Eppure, per questa parte d'Italia, a parte l'aumento della dotazione per le Zone economiche speciali, manca ad esempio, perché non prorogato né rifinanziato, lo strumento - il credito d'imposta Sud - che ha dato più frutti nel promuovere gli investimenti per le imprese. E ciò nonostante che nel Rapporto Pmi Mezzogiorno 2019, di Cerved e Confindustria, emerga che dopo anni di riduzione le piccole e medie imprese tra i 10 e i 250 dipendenti abbiano ripreso ad aumentare. Ma sul Sud nessuno sembra spingere davvero, certamente non lo fanno i giallo-verdi. Come se possa esistere l'Europa, ammesso che anche l'Europa interessi davvero, senza il suo tacco e la sua fondamentale proiezione nel Mediterraneo. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino