«Pd sconfitto», Renzi lascia ma solo dopo il nuovo governo

«Pd sconfitto», Renzi lascia ma solo dopo il nuovo governo
«Mi dimetto, ma non adesso». Matteo Renzi, nel giorno della «sconfitta netta, chiara ed evidente», conia una nuova formula: le dimissioni differite. Una...

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«Mi dimetto, ma non adesso». Matteo Renzi, nel giorno della «sconfitta netta, chiara ed evidente», conia una nuova formula: le dimissioni differite. Una mossa per poter continuare a dare le carte da qui alla formazione del prossimo governo. Se, e quando, avverrà. Trattare sulle presidenze di Camera e Senato. E, in caso di elezioni anticipate, restare alla guida del partito conservando il potere e il diritto di scegliere i candidati per le liste: il core business di ogni partito.


L'annuncio arriva dopo una lunga notte e una giornata di passione. Stretto d'assedio da Dario Franceschini e Andrea Orlando, da Marco Minniti e Graziano Delrio, il segretario a metà mattina è pronto alle dimissioni. Si parla già di una reggenza affidata al vicesegretario Maurizio Martina o al presidente Matteo Orfini e di un'assemblea nazionale per eleggere il nuovo leader entro un mese. Scelto perfino il candidato: il ministro Delrio. Oppure, in alternativa, Minniti. Tant'è, che la notizia dell'addio rimbalza perfino su agenzie di stampa e tv.

Poi, però, scatta il pressing dei suoi, dei componenti del Giglio Magico. Francesco Bonifazi e Lorenzo Guerini, Maria Elena Boschi e Luca Lotti, cominciano a martellare Renzi. «Se lasci adesso», è il ragionamento, «il partito sarebbe senza guida in una fase cruciale e davanti a una fase istituzionale delicata. Annuncia che ti dimetti, ma aspetta ad abbandonare il timone». Commento di un renziano ormai disincantato: «La verità è hanno preso gusto al potere, che pensano a qualche vicepresidenza di qualche Camera. E se al comando ancora Renzi, hanno qualche chance di agguantare qualche posto. Se Matteo lascia si ritrovano turisti in giro per Roma». 

Vero? Di certo c'è che il portavoce Marco Agnoletti a fine mattina smentisce la voce delle dimissioni: «A noi non risulta». E la conferenza stampa fissata per le cinque di pomeriggio slitta di oltre un'ora. Passate le sei Renzi si presenta davanti a telecamere e taccuini.
 
Il copione è molto diverso da quello che si aspettano Franceschini & C. Renzi ammette la sconfitta, ma addebita la responsabilità a Sergio Mattarella e a Paolo Gentiloni pur senza citarli: «L'errore principale è stato di non capire che dovevamo votare nell'aprile scorso o in settembre, le due finestre in cui sono andate alle urne Francia e Germania». Di più, puntando l'indice contro la presunta irrilevanza dell'azione del governo: «Il simbolo di questa campagna deludente è il collegio di Pesaro. Lì avevamo messo Minniti che ha cambiato le politiche dell'immigrazione e ha dato una soluzione al problema. Ma è stato sconfitto dal candidato dei cinquestelle, il signor Cecconi, che era stato giudicato impresentabile dagli stessi grillini» perché aveva barato sui rimborsi «ed era scappato e se n'era andato in vacanza. Eppure ha vinto lo stesso contro ogni valutazione di merito».

Il passo successivo è l'annuncio dell'addio. Ma, appunto, in differita: «È ovvio che dopo questo risultato lascio la guida del Pd. Com'è previsto dallo statuto ho chiesto al presidente Orfini di convocare l'assemblea nazionale e di aprire la fase congressuale. Questo però accadrà al termine dell'insediamento delle Camere e della formazione del nuovo governo». E per anticipare le critiche e lo sgomento degli alleati di partito, Renzi spiega la scelta attaccando: «Non è possibile evitare un confronto vero dentro al Pd su ciò che è accaduto in questi mesi e anni. Un congresso serio e risolutivo. Per questo dico no a un reggente scelto da un caminetto e sì a un segretario eletto con le primarie».


Da lì a breve scatta la rivolta. Tutti a parlare di «dimissioni fantasma». Di «segretario rinchiuso nel bunker». Guerini prova a metterci una pezza: «Nessuna dilazione, le dimissioni di Renzi sono verissime. Lunedì faremo la Direzione e quello sarà il luogo e il momento per aprire una riflessione seria e responsabile». Ma neppure lunedì scatterà l'ora dell'addio. Più tardi Orfini conferma: «Dopo la direzione fisserò la data di convocazione dell'assemblea». L'altro paletto fissato da Renzi è il no a sostenere un governo dei Cinquestelle o della Lega: «Sono garante di un impegno morale, politico, e culturale. Non faremo mai un governo con gli estremisti. Da Salvini e Di Maio si dividono il sentimento anti-europeo, la loro anti-politica e l'utilizzo dell'odio verbale. Ci hanno chiamato corrotti, mafiosi. E allora sapete che c'è? Si facciano il governo da soli, senza di noi. Il nostro posto è l'opposizione, non fare inciuci». Per finire un accenno personale, per dare credibilità all'annuncio delle dimissioni: «Cosa farò? Terminata la fase dell'insediamento delle Camere farò il senatore semplice. Il militante tra i militanti». Chissà.
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Il Mattino