Lo spettro del 4 a 2 per il centrodestra aleggia sul governo e rende sempre più nervosi i big del Pd. Convinti, ormai, che dopo il 20 e 21 settembre lo scenario nel partito...
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Referendum a parte che già scontenta dirigenti e militanti democrat, in questi giorni al Pd nazionale si leggono i sondaggi di Liguria, Veneto, Marche, Puglia, Campania e Toscana. E i numeri tratteggiano gli scenari più cupi: al momento risulta vincente solo la Campania (con De Luca dato vincente ma è anche il governatore del Pd meno organico al partito) e la Toscana. Anche se preoccupa la distanza sempre più breve tra Eugenio Giani e la leghista Susanna Ceccardi. Una distanza di meno di otto punti che in una regione da sempre rossa fa tremare le vene i polsi dei democrat. Naturale, quindi, che con un 4 a 2 (non ne parliamo di un 5 a 1) la richiesta di un cambio della guida democrat è già cosa fatta. D'altronde da settimane non arrivano che rintuzzi a Zingaretti. Il primo dal sindaco di Bergamo Giorgio Gori che, a fine giugno ha chiesto «un congresso, il prima possibile, perché in autunno potrebbe essere troppo tardi per salvare il Paese. È arrivato il momento di accelerare le riforme di cui il Paese ha bisogno». Qualcuno si aspettava adesioni, magari dall'area ex renziana del ministro Guerini e Lotti, ma nel partito è calata una cortina di ferro sull'argomento. Non perché non ci stia già pensando quanto perché occorre prima pensare alle regionali. È quello che ha chiesto Andrea Orlando ma anche chi pensa già a una nuova fase del partito. Come Stefano Bonaccini che non esclude affatto di candidarsi alla guida del Pd in un prossimo congresso o lo stesso Nardella che, due settimane fa, ha chiesto almeno un congresso tematico per discutere delle alleanze. «L'idea di insistere in questo matrimonio tra Pd e M5S è frutto della tattica. Invece - osserva il sindaco di Firenze - è una cosa talmente complessa e seria che andrebbe discussa con iscritti ed elettori nei territori: non è che si può tirar fuori all'ultimo momento solo perché ci sono le elezioni». Idea guarda caso raccolta da un altro ex renziano come il capogruppo Andrea Marcucci, che si è detto subito disponibile progetto del sindaco toscano.
Insomma nel partito tutti hanno capito, maggioranza ed opposizione interne, che dopo il voto del 20 e 21 settembre la leadership di Zingaretti verrà messa in gioco. D'altronde anche i rumors della sua nomina ministro in un eventuale (e per ora archiviato) rimpasto di governo segnalano come tra alcuni democrat c'è il tentativo di indebolirlo ed archiviare questa stagione. Non a caso sono giorni in cui Dario Franceschini, ministro di peso e regista del patto di maggioranza, ripete ai suoi: «Dopo il voto delle regioni lo scenario cambierà». Riferendosi al Pd e non alla maggioranza.
E se qualcosa di concreto ancora non si è mosso è solo perché ci sono le regionali alle porte. Anzi a Roma negli ambienti Pd si parla di un armistizio firmato nei giorni scorsi proprio da Zingaretti, Orlando e Franceschini per rimandare tutto ad ottobre. Subito dopo il voto. Anche perché, Bonaccini a parte, non si capisce chi si potrebbe cimentare nella partita. E, soprattutto, da chi verrebbe appoggiato. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino