Venerdì scorso, mentre in Italia infuriava la polemica tra Salvini e Di Maio sulla necessità di costruire nuovi impianti per bruciare i rifiuti in Campania, da...
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Sul Mattino, da tempo, abbiamo espresso chiaramente la nostra opinione sul modo di gestire, smaltire e sfruttare economicamente il ciclo dei rifiuti. Per non dilungarci nuovamente, ci limitiamo a dire che guardiamo con una certa invidia al modello Copenaghen. Non solo per il nuovo termovalorizzatore che produrrà anche energia pulita e abbasserà ancora una volta la bolletta del riscaldamento dei cittadini, ma in generale per la strategia e la concretezza attuata in materia i temi ambientali.
Centinaia di chilometri più a Sud, invece le province di Napoli e Caserta e la Campania tutta da troppo tempo sono in attesa di una risposta efficace e definitiva, di un piano su larga scala in grado di mettere fine alla vergogna degli incendi a due passi dalle case e delle discariche (piccole o gradi, a cielo aperto o dentro capannoni non importa), veri e propri parcheggi a lungo termine di immondizia. Se si esclude l'inceneritore di Acerra, voluto dal governo Berlusconi nel 2004, da oltre venti anni, come ha documentato ieri su questo giornale l'inchiesta della nostra Daniela De Crescenzo, di misure in grado di incidere davvero sulla gestione del ciclo dei rifiuti non se ne trova traccia. I roghi restano all'ordine del giorno e anche nei depositi, i cosiddetti Stir, stracolmi di rifiuti si susseguono incendi sospetti. Solo il caro prezzo pagato dalle amministrazioni comunali (e da noi cittadini) per inviare sulle navi i rifiuti all'estero ha evitato dal 2010 il triste spettacolo dei cumuli in mezzo alle strade di Napoli ma non di Torre del Greco. In questi anni si sono susseguiti da Bassolino a Caldoro fino ai governi Letta e Renzi, decreti e piani, solo sulla carta, straordinari. Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti. E ad ogni tornata elettorale, compresa l'ultima che ha visto il Movimento 5Stelle fare il pieno di voti tra Caserta e Napoli proprio con l'impegno di porre fine al disastro ambientale, si sono susseguiti puntuali gli annunci e i proclami acchiappavoti di fronte a cittadini giustamente esasperati e quindi inermi di fronte alle promesse. Promesse che poi non si voleva, né soprattutto, si poteva mantenere.
Di quanto accaduto o meglio non accaduto in questi venti anni e della lezione danese possiamo solo augurarci che terrà conto questa mattina il governo quando si riunirà nella prefettura di Caserta per la firma del nuovo (l'ennesimo sotto altro nome?) protocollo sulla Terra dei Fuochi. Perdonate lo scetticismo ma al premier Giuseppe Conte, che ieri nel tweet della vigilia ha ripreso il titolo del Mattino «Ora basta», ai vicepremier duellanti e ai ministri al seguito chiediamo almeno un impegno: risparmiateci la parata e la promessa di soluzioni semplici a un dramma complesso che ha un peso, da tempo ormai insopportabile, sulla qualità della vita e sulla salute di almeno tre milioni di italiani. Per dirla in parole povere, alla danese, cercate di tenere i fatti e la scienza distinti dall'ideologia e dalla propaganda elettorale. È l'unica via per non fare (l'ennesima) figura dei galli 'ncoppa alla monnezza. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino