Energia dall'immondizia: vale l'1,4% del fabbisogno

Energia dall'immondizia: vale l'1,4% del fabbisogno
Se invece di continuare a esportare rifiuti li utilizzassimo per ricavarne energia, potremmo coprire l'1,4 per cento del fabbisogno nazionale. Non sarebbe la soluzione a tutti...

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Se invece di continuare a esportare rifiuti li utilizzassimo per ricavarne energia, potremmo coprire l'1,4 per cento del fabbisogno nazionale. Non sarebbe la soluzione a tutti i nostri problemi, ma comunque avremmo compiuto un passo in avanti verso quella che appare una meta ancora troppo lontana: l'indipendenza energetica. I calcoli li fa Daniele Fortini, attualmente presidente di Retiambiente spa, già presidente di Federambiente e amministratore unico di Asìa.

Per comprendere quello che sarebbe possibile fare (e non facciamo) bisogna partire da alcune premesse. La prima: secondo la gerarchia europea dei rifiuti (recuperare/riusare/riciclare), il pacchetto economia circolare e il Piano Nazionale Rifiuti del Mite, l'asse riciclo-recupero va anche nella direzione di considerare buone tutte le pratiche che producono energia, quindi anche l'incenerimento. La seconda: l'energia dai rifiuti può essere estratta da processi biologici (macerazione naturale di rifiuti umidi) e da combustione (bruciare scarti non riciclabili). La prima si ha con i biodigestori, la seconda con gli inceneritori. 

E adesso guardiamo i dati. Nel 2020 l'Italia ha prodotto circa 11 milioni di tonnellate di rifiuti organici, ne ha raccolte 7 milioni in maniera differenziata e ne ha utilizzate per produrre biogas 5 milioni. Se si considera che da una tonnellata di rifiuti organici putrescibili si ricavano circa 160 nmc (normal metri cubi) di biogas che, depurati di gas impropri, rilasciano circa 90 normal metri cubi di biometano, è facile comprendere che con il recupero attuale si ottengono solo 450 milioni di biometano che coprono circa lo 0,45 per cento del fabbisogno italiano (58 miliardi di normal metri cubi all'anno). Se, invece, tutti i rifiuti organici italiani fossero raccolti in maniera differenziata e inviati a recupero di biometano, si avrebbe una produzione annua di circa un miliardo, cioè l'1 per cento del fabbisogno nazionale. Il passo in avanti sarebbe sostanziale.

E passiamo alla cosiddetta frazione secca. Gli scarti non riciclabili di rifiuti urbani sono circa 12 milioni di tonnellate (2020) e ora ne sono trattate 5 milioni di tonnellate nei termovalorizzatori e 7 milioni finiscono in discarica. I 5 milioni attualmente destinati a recupero di energia generano circa 600 milliwattora di energia elettrica e corrispondono allo 0,18 per cento del fabbisogno italiano (319 miliardi di chilowattora all'anno). Se tutti i rifiuti non riciclabili fossero avviati a recupero di energia si produrrebbero circa 1,3 miliardi di chilowattora all'anno che sono lo 0,40 per cento del fabbisogno nazionale. In complesso se utilizzassimo tutta la spazzatura prodotta in Italia, il mix tra rifiuti organici e non riciclabili comporrebbe la soddisfazione dell'1,4 per cento italiano di energia. E c'è anche chi propone di fare di più. Tutte le imprese del settore sono al lavoro in questo momento, e secondo la hafner di Bolzano, ad esempio, sarebbe possibile alimentare le centrali termoelettriche con i rifiuti soddisfacendo il fabbisogno del 14 per cento delle famiglie e producendo 4 miliardi di metri cubi all'anno di gas metano. Per ora, invece, preferiamo pagare fino a 170-180 euro a tonnellata per esportarne una bella fetta all'estero dove la bruciano per riscaldarsi. Infatti già oggi nel nord Europa l'1,9 per cento dell'energia complessiva proviene dai rifiuti anche perché quei Paesi recuperano dalla termovalorizzazione anche energia termica per il teleriscaldamento.

Sembra un assurdo, ma è una realtà legata alla mancanza di impiantistica. «Noi continuiamo ad esportare perché la nostra capacità di costruire impianti non va al passo con quella di raccogliere in maniera differenziata - spiega Fortini E non solo: attualmente gli impianti sono concentrati al Nord dove sono stati aperti molti impianti piccoli da 20, 30 mila tonnellate e la frazione umida è diventata quindi preziosa. In questo panorama la Campania è un esempio chiarissimo: raggiunge buone percentuali di raccolta differenziata, ma non ha impianti». Eppure solo dalla produzione di umido della Campania si potrebbero ricavare più di dieci milioni di tonnellate di normal metri cubi.

Quindi il primo passo da fare sarebbe quello di investire nel settore impiantistico. Ma conviene spendere per ricavare energia dai rifiuti? Secondo Fortini sì. «Un impianto di termovalorizzazione per ogni tonnellata installata costa 1100 euro, per biodigestore anaerobico dal quale ricavare biometano se ne spendono circa 300. A mio parere sarebbe assolutamente utile qualunque iniziativa prendessimo per scongiurare la dipendenza dall'estero, dai pannelli fotovoltaici su una villetta che si riscalda autonomamente, alla produzione di gas dai rifiuti. Tutto quello che serve ad affrancarsi dai combustibili fossili porta a vantaggi ambientali ed economici di cui in ultima analisi si avvantaggiano soprattutto imprese e famiglie». 

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Il Mattino