Pd, Letta prepara la svolta: rivedere il patto con M5S. E nelle città candidati diversi

Pd, Letta prepara la svolta: rivedere il patto con M5S. E nelle città candidati diversi
Bisogna risolvere la questione dei tempi del congresso. Gli ex renziani di Base riformista lo vogliono il prima possibile dopo il voto comunale di ottobre, ossia non intendono...

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Bisogna risolvere la questione dei tempi del congresso. Gli ex renziani di Base riformista lo vogliono il prima possibile dopo il voto comunale di ottobre, ossia non intendono affidarsi mani e piedi all'Enrico. Dopo di che, la via di Letta per la leadership del Pd sembra assai percorribile. Oggi o al massimo domani lui scioglie la riserva. I segnali che manda sono di disponibilità: «L'importante è che non ci sia finta unanimità. Capisco i dubbi ed è bene che tutti si chiariscano così si potrà lavorare meglio». Intanto, da Franceschini a Zingaretti, da Zanda a Orlando ai Giovani Turchi di Orfini e Verducci e a tutti gli altri (per esempio Amendola che è sempre in contatto con l'amico Letta), è per lo più un coro da «Enrico ti aspettiamo» (dalla Picierno in giù e in su sui social e tra i parlamentari) e quanto è «autorevole» Enrico e «con lui i signori della guerra deporranno le armi». Di sicuro, dicono i suoi, le deporrà lui: non disposto a «fare vendette» sui nemici di prima perché vuole andare avanti tutti insieme. Anche se qualche renziano teme il repulisti. 

Già ci si interroga: quale sarà il nuovo identikit del partito di Letta e lui alcune idee chiare sembra avercele. Con Conte ha un buon rapporto personale - si è schierato con lui e contro la «follia» di Renzi nei giorni della crisi di governo - ma la modalità rispetto al leader dei 5Stelle sarà quella della competition is competition. Nessun appiattimento sul grillismo, nessuna subalternità anche ridicola come quella che s'è vista finora per cui Conte era considerato dagli zingarettiani «il punto di riferimento dei progressisti» e il grande federatore del dem-grillismo. Macché: Conte nell'ottica di Letta ora guida un partito alleato ma rivale che con Giuseppi designato leader ha già tolto il 5 per cento dei voti al Pd nei sondaggi e lo ha precipitato al quarto posto. Dunque, sarà gara con i pentastellati. Anche perché, se a Letta ormai considerato «il Draghi del Pd» dovesse andare tutto bene - dal voto amministrativo all'elezione per il Colle, dall'investitura a leader tra primarie e congresso - la sfida per le politiche del 2023, o anche prima, avrà due candidati premier contrapposti: lui e Conte. Nel frattempo, lo schema dell'alleanza rosso-gialla nel voto per le città, schema caro a Zingaretti, verrà rivisto così: andare con candidati separati al primo turno (Roma naturalmente è il caso simbolo) per poi convergere semmai al ballottaggio e dunque il Pd farà attenzione a schierare personalità non troppo indigeste all'elettorato grillino.

Il patto con M5S andrà riscritto dunque. «Ci si rapporterà da potenza a potenza, ma la potenza più forte dobbiamo essere assolutamente noi». Così dicono dalle parti di Letta, che ha come consigliere politico in campo, uno dei pochi amici che nel 2014 non lo tradì: Marco Meloni, ex parlamentare, rottamato al tempo del renzismo. Quanto agli assetti, anche qui una svolta. Una segreteria molto allargata e che comprenda tutte le correnti e le sensibilità politico-culturali presenti nel partito. Letta vuole così, anche per coinvolgere in pieno quelli di Base Riformista. «Unità e comunità nella giusta diversità», è il suo slogan. Chi ci ha parlato ha sentito ieri Letta piuttosto carico. Se le condizioni saranno adatte, è pronto a cambiare la sua vita. Anche il suo profilo cambierà: meno Aspen e più Zoro, dice qualcuno; meno tecnocrate e più politico (lo stesso Draghi sta facendo questo salto); inclusivo e più pratico nel senso della gestione anche dura del partito e della bassa cucina: riuscirà a fare le liste nel 2023 sporcandosi le mani? O a decidere chi far correre a Bologna o a Napoli ad ottobre? Molto spinto sul green (la politica ambientale sarà cruciale, anche per togliere terreno a Grillo-Conte sperati su questo) e convinto del protagonismo femminile. Nella segreteria politica molte donne e potrebbe essere donna anche la vice-segretaria del partito. Si tratta di trovare il nome giusto, senza scatenare le invidie sia dei grandi elettori maschi sia delle altre donne. I sindaci - e non solo il fiorentino Nardella ma anche gli altri si stanno schierando con lui - avranno uno «spazio particolare» nella guida del partito, anche per evitare quella che è stata una costante della stagione Zingaretti: lo scollamento totale tra centro e periferia del partito. Ora però tocca concludere la trattativa con quelli di Base Riformista (ieri varie telefonate con i big di quell'area), per poi gettarsi in un'impresa che Letta non considera disperata. 

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Il Mattino