Torture e stupri su decine di persone sequestrate nel campo di Bani Whalid, 150 chilometri sud-est di Tripoli, in Libia. Migranti legati e picchiati a morte se le loro famiglie...
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È stato condannato all’ergastolo Osman Matammud, 23 anni, somalo, arrestato un anno fa dopo essere stato riconosciuto da un gruppo di rifugiati nel centro di via Sammartini: «È lui». Per le 17 vittime che hanno raccontato la loro storia agli inquirenti, il 23enne era a capo del campo abusivo e lo gestiva come un vero e proprio lager. Il pm Marcello Tatangelo nella sua requisitoria lo aveva definito «un sadico, uno che si diverte a torturare e a uccidere». Il procuratore aggiunto Ilda Boccassini, che aveva raccolto lo sfogo di alcune giovanissime, ha detto che nella sua carriera non aveva «mai visto un orrore simile».
Oltre al carcere a vita, i giudici della Corte d’Assise hanno inflitto al somalo anche l’isolamento diurno per tre anni. Il 23enne è rimasto impassibile alla lettura della sentenza, mentre il suo avvocato, Gianni Carlo Rossi, ha annunciato il ricorso in appello, ribadendo che «è innocente». Il legale in aula aveva spiegato che Matammud è «un migrante come gli altri», a sua volta vittima di violenze e pestaggi, e che era arrivato in Italia su un barcone per raggiungere la famiglia in Germania.
Soddisfazione da parte degli avvocati di parte civile: per Paolo Carrino, legale di sei delle vittime, «è sempre triste quando un giovane viene condannato all’ergastolo, ma abbiamo avuto una lezione di civiltà da questi ragazzi, che invece di vendicarsi da soli si sono rivolti alla giustizia italiana».
Il Mattino