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Non c’è più Franco Marini. Se n’è andato ora. A 87 anni. Capitava d’incontrarlo a spasso su Viale Parioli (abitava lì accanto, a via Lima) con il basco in testa e un sorriso sornione: «Poteva andare meglio...». Riferito alle sorti dell’Italia. Poi la malattia del Covid lo ha colto a Rieti, la città dove era cresciuto (primo di sette figli, suo padre Loreto detto Totuccio era operaio a Rieti, alla Snia Viscosa) e dove amava stare specialmente negli ultimi tempi. Faceva impressione in lui l’assoluta mancanza di stress.
Mentre tutti erano eccitati, per le continue convulsioni politiche di un Paese emotivo, lui non lo era mai. Padroneggiava se stesso in maniera ammirabile.
E con poche parole sintetizzava storie anche molto complesse: «La Dc? Era un mostro positivo». Lui invece non era affatto un mostro, ma un positivo sì. È stato Presidente Senato, Ministro del Lavoro, Segretario generale della CISL e Segretario nazionale del PPI.
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Però si tolse la soddisfazione di battere Andreotti alla presidenza del Senato. Era un fumantino, grande alpino e "lupo marsicano". Vero cattolico illuminato, di quelli che hanno la laicità dello Stato come uno dei principi fissi e inderogabili. Già manca a tutti. E i messaggi di cordoglio piovono a centinaia da dentro e da fuori il palazzo politico. Un luogo che Marini ha frequentato sempre ma basta averlo conosciuto un po’ per poter dire che le logiche di palazzo non lo hanno mai posseduto e dalla vita reale non si è mai staccato. Questo non capita spesso ai politici e anche ai sindacalisti.
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