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La malattia è perfida perché, a volte, decide di scassinare la stanza dell'oro, la nostra zona più preziosa. Così, a un diplomatico che ha attraversato decenni di missioni internazionali delle Nazioni Unite, collezionando il rispetto dei grandi protagonisti della storia del secondo Novecento, da Lady Diana a Perez de Cuellar, da George Bush senior a Kofi Annan, l'Alzheimer arriva e polverizza i ricordi. Offusca il pensiero lontano, la memoria di sé, riducendolo a immaginare le ombre sul muro, proprio in quella fase della vita in cui è quello che hai fatto a dare forza a ciò che resta da fare. Amaro il destino di Giandomenico Picco, per gli amici Gianni, 73 anni, una vita intera dedicata alla diplomazia, eroe delle missioni disperate, ex sottosegretario generale dell'Onu, friulano, protagonista del rilascio di tanti ostaggi occidentali nel teatro caldissimo del Medio Oriente degli anni Ottanta, e oggi inchiodato in una clinica degli Stati Uniti.
Ma non è solo la malattia. È l'improvvisa indigenza, un alone di disagio economico, che rischia di non consentirgli nemmeno di pagarsi la retta e le cure, con una prospettiva buia di malato che non riesce a far fronte alle sue necessità. Proprio lui, che sulle necessità degli altri ha costruito una vita. Ma come la malattia sa essere cattiva, la gente sa essere riconoscente. Così, per il grande diplomatico ammalato, si sono accesi un po' di cuori, alcuni proprio tra quelli che lui disperatamente aveva salvato.
Negli Usa è partita una raccolta di fondi (circa 20mila dollari già donati) mentre in Italia la battaglia è diventata politica. È stata chiesta al Governo l'attivazione della Legge Bacchelli.
La catena solidale, in realtà, è partita proprio da chi a Picco la riconoscenza la deve davvero. Helping the man who saved my father, è il titolo della raccolta lanciata negli Usa dalla figlia di uno degli ostaggi americani che il diplomatico friulano salvò nel suo lavoro. Lei si chiama Sulome Anderson, è la figlia di Terry Anderson, giornalista dell'Associated Press, che finì in una brutta storia di rapimenti in Libano. Era la fine degli Anni Ottanta. Frange di guerriglieri che poi confluirono negli Hezbollah cominciarono a rapire cittadini occidentali. In tre anni furono sequestrate 104 persone. Tra loro anche alcuni italiani. Alcuni non tornarono mai a casa. Il giornalista Terry Anderson fu sequestrato il 16 marzo 1985 e fu rilasciato oltre sei anni dopo, il 4 dicembre 1991. A lavorare intensamente in quei luoghi, correndo personalmente rischi enormi, fu proprio Picco, allora assistente per gli affari esteri del segretario generale dell'Onu, Javier Perez de Cuellar. «I miei ultimi 30 anni di amore e sorrisi con mio padre ha scritto Sulome - non sarebbero stati possibili se non ci fosse stato Giandomenico Picco». Da qui l'appello. «Aiutateci ad assicurargli una vita confortevole e dignitosa, sperando di raggiungere la cifra di 60 mila dollari, con i quali potremo pagare per un anno le cure e l'assistenza di cui ha bisogno. Significherebbe tanto per me aiutare l'uomo che salvò mio padre». È bastato quel grido per svegliare tanti ricordi. Il soldato disarmato della diplomazia, come lo battezzò proprio Perez de Cuellar, ha lasciato una buona scia di sé: in pochi giorni, quell'appello ha fatto il giro del mondo. Fino a tornare dove tutto è cominciato: in Friuli. Picco ha studiato da ragazzino a Udine, poi è tornato a Gorizia da adulto, per ricevere la laurea honoris causa in Scienze internazionali e diplomatiche dall'ateneo di Trieste. Fino alla malattia, al buio, alla mano tesa. Ora è lui che ha bisogno di aiuto, e lo sta trovando. Perché la vita, alla fine, è una semina, e il momento del raccolto arriva sempre.
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