Giulia precipitata dal ponte. La madre non crede al suicidio: «Indagate ancora»

Giulia precipitata dal ponte. La madre non crede al suicidio: «Indagate ancora»
Piange fuori dall’aula prima di entrare, in un momento di sfogo, Meri Koci, la mamma di Giulia Di Sabatino, perché sa che sta per ascoltare la seconda richiesta di...

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Piange fuori dall’aula prima di entrare, in un momento di sfogo, Meri Koci, la mamma di Giulia Di Sabatino, perché sa che sta per ascoltare la seconda richiesta di archiviazione dell’inchiesta sulla morte della sua giovanissima figlia che secondo la Procura di Teramo avrebbe scelto di togliersi la vita gettandosi da un viadotto dell’A14. Una richiesta di poter continuare ad indagare e non chiudere definitivamente il caso che i genitori dell’allora 19enne hanno ripresentato, attraverso l’avvocato Antonio Di Gaspare, perché convinti che non si possa essere trattato di un suicidio. Blindato, ieri, il Tribunale dopo che la scorsa volta Meri era stata allontanata dall’aula per aver alzato la voce in un momento di rabbia.


«Io sono convinta che il bene vincerà – dice fiduciosa nella decisione che il giudice Domenico Canosa prenderà nei prossimi giorni dopo essersi riservato -, voglio giustizia per mia figlia». Era settembre del 2017 quando il giudice Canosa dispose nuove indagini, accogliendo l’opposizione alla prima richiesta di archiviazione firmata dai pm Enrica Medori e Davide Rosati. In particolare si soffermò oltre che sulla necessità di risentire una serie di testi, sull’aspetto di ampliare gli accertamenti sul brecciolino trovato sotto le scarpe di Giulia, acquisire le immagini riprese da un tutor installato nelle vicinanze del punto in cui la ragazza precipitò nel vuoto e verificare nuovamente alcuni contatti telefonici tra la 19enne e i tre indagati per istigazione al suicidio.


Si tratta del 25enne finito nelle cronache come l’uomo della Panda rossa, l’ultimo ad aver visto Giulia viva e ad aver avuto con lei un rapporto sessuale quella notte; l’uomo con lo scooter che quella sera le diede un passaggio per un tratto di strada e un 30enne di Giulianova nel cui telefonino sono state trovate immagini osè della 19enne e di altre tre ragazze, finito a processo per pedopornografia nell’inchiesta della Dda dell’Aquila. Indagini che non avrebbero dato altri riscontri investigativi, tanto da spingere la Procura ad una seconda richiesta di archiviazione, quella discussa ieri in udienza e nuovamente opposta dalla famiglia di Giulia, che tenta di non arrendersi, ma che prima o poi dovrà fare i conti con una verità processuale che inevitabilmente arriverà alla fine. I resti del corpo dilaniato di Giulia furono ritrovati proprio il giorno del suo compleanno, il primo settembre del 2015, sotto un cavalcavia dell’autostrada A14 a Tortoreto. I suoi genitori hanno sempre sostenuto che la ragazza sarebbe stata gettata dal cavalcavia oppure uccisa prima e poi il corpo buttato per simulare un suicidio. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino