Giustizia al rallentatore in Italia, tre anni per una sentenza

Giustizia al rallentatore in Italia, tre anni per una sentenza
Un anno e mezzo per una sentenza di primo grado, due e mezzo per il secondo grado di giudizio, tre anni e mezzo di attesa per il terzo. Finire nelle spirali della giustizia...

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Un anno e mezzo per una sentenza di primo grado, due e mezzo per il secondo grado di giudizio, tre anni e mezzo di attesa per il terzo. Finire nelle spirali della giustizia italiana, significa intraprendere un disperante viaggio ai confini della realtà che non ha pari negli altri Paesi d'Europa. Solo la Grecia e la Bosnia-Erzegovina fanno peggio di noi, quando si parla di tempi medi per la celebrazione di un processo. Per il resto il Belpaese si aggiudica a mani basse la maglia nera tra i 45 Paesi del Vecchio continente che aderiscono al Consiglio d'Europa.


 

La fotografia scattata dal Rapporto biennale elaborato dalla Commissione europea per la giustizia (Cepej) è una condanna senza appello. Nonostante dei timidi segnali di miglioramento tra il 2012 e il 2016, tra l'Italia e il resto d'Europa resta un gap incolmabile, scolpito dai numeri. Qui da noi servono ad esempio in ambito civile 514 giorni per una sentenza di primo grado (ma erano 590 nel 2014), contro i 233 della media europea: tempi più che doppi. E se si raffrontano i tempi del secondo grado di giudizio va di male in peggio, perché la durata quadruplica: ai nostri giudici servono 993 giorni (erano 1161 sette anni fa), ai colleghi europei appena 244. Dati da incubo. Che diventano ancora più inquietanti, quando si tratta di arrivare a sentenza definitiva. Per una sentenza di terzo grado, in media i cittadini europei devono attendere 238 giorni, ovvero otto mesi. Quelli italiani il quintuplo del tempo: 1442 giorni di agonia. Addirittura 130 in più di cinque anni fa. E non molto meglio va nel penale, dove l'Italia, con 310 giorni, ha il primato negativo indiscusso nella speciale categoria dei processi lumaca nel primo grado di giudizio. Nel secondo, arriva una magra consolazione: con 876 giorni siamo penultimi dopo Malta (1025), mentre a salvare l'onore ci pensa la Cassazione, che si prende 191 giorni di tempo contro la media di 143.

LE TOGHE IN SERVIZIO
C'è un problema di organico? Probabilmente sì, a leggere i dati del rapporto Cepej. Nel resto d'Europa ci sono in media a disposizione 22 magistrati ogni 100mila abitanti mentre in Italia ce ne facciamo bastare 11, appena la metà. E il raffronto resta impietoso se si estende lo sguardo al vero asse portante del sistema giustizia nazionale, che smaltisce il 40 per cento dei procedimenti. Qui da noi ce ne sono 6 ogni 100mila abitanti (3.522 in tutto), negli altri Paesi che hanno fornito i dati si sale a ben 94 giudici di complemento ogni 100mila persone. E tuttavia le carenze di organico non spiegano tutto. A differenza di quanto potrebbe sembrare, dopo la crisi del 2008 tutti i Paesi europei hanno aumentato le risorse destinate alle spese per la giustizia. Ma se altrove si sono investiti in media 64,5 euro per ogni abitante, il Belpaese ne ha spesi 75, più degli altri. Senza contare peraltro che le somme consegnate ai tribunali amministrativi sono qui da noi conteggiati in un capitolo di spesa a parte. Insomma, ci sono dei buchi d'organico in Italia. Ma ci sono anche problemi di efficienza nei nostri palazzi di Giustizia. Che somigliano a macchine sempre più ingolfate. Più provano ad accelerare, più girano a vuoto.

IRRAGIONEVOLE DURATA

Il quadro clinico fornito dall'Associazione nazionale forense (Anf) lo dice senza mezzi termini: la Giustizia è la grande ammalata d'Italia. E resta tutt'oggi in prognosi riservata. Alla fine del 2018, il numero di procedimenti civili pendenti tra tribunali ordinari, giudici di pace, tribunali per minorenni, corti d'appello e Corte di cassazione ammonta a una cifra mostruosa: 3 milioni e 443 mila, di cui 2 milioni e 900 mila riguardano contenziosi economici, lavorativi e familiari, e altri 527.792 legati a esecuzioni e fallimenti. La maglia nera spetta però ad alcuni distretti giudiziari in particolare. I tribunali ordinari di Roma hanno in sospeso 126.710 cause, seguono Napoli (73715), Catania (53.752), Milano (48.278) e Bari (45.581). Il risultato? Ben 550mila procedimenti pendenti sono a rischio risarcimento per quella irragionevole durata del processo sanzionata dalla legge Pinto. Sono probabilmente destinati a non finire in tempi accettabili 369.436 cause davanti ai tribunali ordinari, 110.033 davanti alle corti d'appello e 75.206 dinanzi la Corte costituzionale. Ma il vero guaio è che la malagiustizia non costa lacrime, soldi e sangue soltanto a imprenditori, comuni cittadini e amministratori, ma a tutti gli italiani nel complesso. Se Milano sfonda raramente i tempi di un processo ragionevole (86 casi nel 2016, 82 nel 2017), Corti d'Appello come quelle di Roma (1698 ritardi) e Napoli (1354) subiscono ogni anno migliaia di procedimenti per equa riparazione. Per le casse pubbliche un vero salasso. A oggi ci sono stati già più di 700mila procedimenti legati alla legge Pinto. Che ci sono costati quasi un miliardo di euro, tra i 450 milioni già erogati e i 406 già stanziati. E in prospettiva ne spenderemo altrettanti a breve. Più che riformata, la nostra giustizia andrebbe rifondata. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino