Sarà anche vero, come dice Matteo Salvini, che «con tutto il rispetto per lo spread viene prima il lavoro e la salute degli italiani». E in effetti è...
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Dal voto di marzo 2018, la ricchezza degli italiani, fatta di titoli di Stato, azioni e obbligazioni, risulta ancora in rosso di almeno 90 miliardi stando alla fotografia della Fondazione Hume fino al 3 maggio scorso quando Trump ha fatto scattare nuove minacce con tanto di escalation nella guerra commerciale. Da allora la Borsa ha perso un altro 5% circa e lo spread ha guadagnato oltre 30 punti in una manciata di giorni facendo avvicinare il conto a 100 miliardi. Non solo. A fine 2018 Bankitalia aveva calcolato 5 miliardi di interessi in più nel 2019 per l'effetto spread, ma aveva anche immaginato fino a 9 miliardi in più di spesa fino al 2020 con i tassi oltre quota 300.
Dunque, un autogol clamoroso per una politica di bilancio in affanno che dovrebbe ora andare a caccia di almeno 35 miliardi.
In effetti dai livelli record di novembre scorso, quando il differenziale di rendimento tra Btp e Bund aveva raggiunto quota 325, tra marzo e aprile lo spread era arrivato a perdere quasi 100 punti da quei livelli di guardia. Tanto che l'ultimo rapporto sulla stabilità finanziaria di Bankitalia pubblicato proprio il 3 maggio scorso (con lo spread a 250 punti) immaginava interessi in più per circa 4 miliardi tra 2019 il 2020. Una consolazione durata poco, ammesso che lo sia, visto che da allora lo scarto tra Roma e Berlino è volato fino a toccare un massimo di 293 punti ieri prima di chiudere a quota 284,5.
I motivi di tanta fibrillazione per la verità hanno radici più profonde. Hanno a che fare con quei timori per la crescita mondiale legate alle tensioni sui dazi. Così si spiega anche l'ennesimo calo dei rendimenti dei Bund tedeschi, considerati approdo sicuro, arrivati a -0,1%, il minimo dal 2016, a fronte del Btp a quota 2,74%. A voler guardare un Paese più simile a noi, il decennale spagnolo non arriva all'1%, con il differenziale tra Roma e Madrid arrivato a superare 180 punti. Questo vuol dire che proprio mentre l'effetto guerra dei dazi si fa sentire un po' ovunque sui mercati, non si sentiva davvero il bisogno in Italia della scossa arrivata dagli strappi nel governo e dalle dichiarazioni avventate di Salvini, così deciso «a sfondare il 3% di deficit». E non è finita, a quanto pare. I mercati prevedono un certo mal di spread almeno fino alle elezioni europee, se non fino alla riunione Bc del 6 giugno.
Potrebbero essere i dettagli di una manovra robusta a riportare un po' di ottimismo sulla carta italiana che da inizio anno, è bene ricordarlo, ha comunque fatto meglio di tutti gli altri titoli di Stato. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino