Conflitto in Libia, l'allarme di Minniti: «Roma si è isolata, ora a rischio l'Eni»

Conflitto in Libia, l'allarme di Minniti: «Roma si è isolata, ora a rischio l'Eni»
«L'attacco militare di Haftar, qualsiasi esito avrà, porterà conseguenze per un lungo periodo non solo in Libia, ma anche in Italia». Fino a un anno...

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«L'attacco militare di Haftar, qualsiasi esito avrà, porterà conseguenze per un lungo periodo non solo in Libia, ma anche in Italia». Fino a un anno fa il dossier libico era pane quotidiano per l'ex ministro dell'Interno Marco Minniti.


La situazione sembra precipitare, a quali rischi va incontro l'Italia?
«Gli effetti sui flussi migratori sono reali e non si risolvono con una circolare o dicendo di chiudere i porti, si affrontano in Libia. I migranti sono una conseguenza, ma prima bisogna affrontare le cause. Per ora si tratta di una guerra a bassa intensità, ma un conflitto permanente cambierebbe lo status di chi scappa e diventerebbero tutti rifugiati secondo le convenzioni internazionali».
 
C'è il rischio che arrivino anche i terroristi?
«Sì, i foreign fighter fuggiti dalla Siria e dall'Iraq possono sfruttare il caos. E poi è fortissima la minaccia per i nostri approvvigionamenti energetici, l'Eni ha retto anche in tempi più difficili, ma potremmo pagare presto un alto costo».

Nel suo libro racconta diffusamente del suo incontro a Bengasi con Haftar, il Feldmaresciallo può prevalere su Serraj?
«Non esiste una forza predominante nel Paese, chiunque vinca avrebbe comunque da fronteggiare i focolai di una guerra civile permanente. La Libia è pure il Paese dove più si riflettono le tensioni mondiali. Mentre Haftar avanzava, gli americani hanno lasciato Tripoli e qualche giorno dopo il Generale è volato a Mosca per un incontro non ufficiale. Non meno importante è la grande linea di frattura tra gli attori regionali con Turchia e Qatar da una parte ed Egitto, Emirati, Arabia Saudita dall'altra».

Ci sono anche Francia e Italia su fronti opposti.
«Frutto dell'auto-isolamento a cui si è esposto questo governo che ha fatto una scelta politica: utilizzare l'immigrazione come elemento di rottura nel rapporto con l'Unione Europea finendo colpevolmente per restare senza sponde».

In che modo arriverebbero tanti migranti? Prima c'erano le navi delle ong, oggi ne è rimasta solo una anche in seguito alla sua azione.
«Non l'ho fatto con una legge o con una direttiva, ma con un codice di condotta firmato dalla Commissione Ue, dall'Italia e dalle stesse ong. Si è cancellato un sistema e se ne è creato uno virtuoso».

Cioè?
«Avevamo messo il coordinamento delle operazioni di ricerca e soccorso in mare in capo alla nostra guardia costiera, la controparte libica agiva in collegamento con le nostre autorità. Le ong dovevano muoversi rispettando le procedure, inoltre nel Mediterraneo c'erano assetti di Frontex e di Eunavformed, ma l'attuale governo ha ben pensato di disinteressarsene nonostante queste missioni avevano comando italiano. Ora abbiamo un Mediterraneo più insicuro di prima».

Non crede che lei abbia finito col dare un eccesso di delega ai libici per il controllo dei flussi?
«Semmai è ora che si vorrebbe scaricare tutta la responsabilità sulla guardia costiera di Tripoli che non ha strumenti o strutture. Se la situazione continuerà a degenerare sarà ancora più impensabile poter chiedere loro degli sforzi. Anzi, vorrei ricordare che è la comunità internazionale ad avere un debito nei confronti della Libia e non viceversa».

L'asse tra governo, intelligence e ambasciata sembra essersi rotto. Anche il cambio tra l'ambasciatore Perrone e l'attuale inviato Buccino non ha portato frutti.
«Gli avvicendamenti sono fisiologici, il problema è quando non si agisce come sistema-Paese, penso ai francesi e a come si sono compattati dopo la tragedia di Notre-Dame. Da noi invece le tensioni sono fino al limite del conflitto istituzionale, come avvenuto con lo Stato Maggiore della Difesa».

Eppure nel suo partito in molti hanno criticato la sua linea, anche Renzi.
«Su questo resto della vecchia guardia e la mia regola fondamentale è considerare il fronte esterno molto più impegnativo. In questo momento privilegiare il fronte interno sarebbe uno spreco di risorse che invece vanno concentrate su altri versanti».

In tutta l'intervista non ha mai citato il suo successore Matteo Salvini, come mai?

«Esprimo giudizi politici, mai personali, senza tuttavia fare sconti come, ad esempio, alla sua direttiva sulla sicurezza urbana che considero sbagliata e perniciosa. Per rendere più sicure le periferie si dovrebbe agire su due direttrici: controllo del territorio e risanamento. In piazza serve una macchina della polizia collegata alle forze locali e poi che quel posto sia al centro di politiche di sviluppo urbanistico. Una moderna idea della sicurezza ha bisogno di un'alleanza strategica tra il Viminale e i sindaci. È impensabile nel terzo millennio applicare lo stesso modello di sicurezza da Bolzano ad Agrigento passando da Napoli, bisogna saper leggere le specificità del territorio». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino