Il giudice che decideva gli abiti delle allieve: caso al Consiglio di Stato

Il giudice che decideva gli abiti delle allieve: caso al Consiglio di Stato
Chi lo conosce sa che vive questo momento con serenità, forte della consapevolezza di aver agito in modo corretto e trasparente, ma anche della coscienza di aver formato...

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Chi lo conosce sa che vive questo momento con serenità, forte della consapevolezza di aver agito in modo corretto e trasparente, ma anche della coscienza di aver formato stuoli di magistrati tuttora in carica.


Chi lo conosce sa che respinge al mittente ogni richiesta di intervista, forte del rispetto dovuto al Consiglio di Stato, il massimo organo della giustizia amministrativa nel quale è inserito da anni. Eccolo il giudice Francesco Bellomo, pugliese di nascita, romano d'adozione, finito al centro di un procedimento disciplinare dinanzi all'organo di presidenza del Consiglio di Stato per una storia che, se non fosse una cosa seria, sarebbe degna di entrare in una sorta di B movie stile anni Ottanta. Ma su cosa si sono riuniti i membri dell'organo di autogoverno della giustizia amministrativa? Si parte da una lagnanza firmata dal padre di una ex allieva del giudice Bellomo, in uno degli affollati corsi di formazione in diritto amministrativo tenuti dal giudice per conto della società «Diritto e scienza».

Una lagnanza, uno sfogo di un genitore, che non ha mai ritenuto opportuno firmare una denuncia penale, ma che punta l'indice contro l'attività di docente del magistrato. Ed è su questa lagnanza che quelli di Palazzo Spada si sono confrontati, tanto da partorire una proposta di sanzione che ora attende la valutazione dell'assemblea plenaria (una sorta di organo di appello). In sintesi, i consiglieri devono stabilire quanto c'è di vero nelle presunte anomalie indicate dal genitore di una ex alunna di Francesco Bellomo. Anomalie al limite del farsesco: il giudice avrebbe imposto una sorta di «dress code» per i suoi alunni e le sue alunne, in occasione di corsi e di convegni organizzati dalla srl «Diritto e scienza»; avrebbe preteso per sé una sorta di «clausola del fidanzato», che consisteva nel valutare il quoziente intellettivo del partner delle proprie alunne, muovendosi come una specie di «agente superiore» in grado di interagire nella vita privata dei rispettivi discenti. Ricostruzioni che meritano una premessa. Non sono state firmate da una alunna, ma dal genitore della ragazza, che nel frattempo ha trascorso un periodo in cura in ospedale, probabilmente perché sopraffatta dallo stress subito da questa storia. A voler dar credito alle parole di un padre col dente avvelenato, tra Francesco Bellomo e la donna ci sarebbe stata una relazione poi sfociata in un litigio. Una querelle nel corso della quale, il giudice avrebbe fatto anche leva sui carabinieri per imporre un accompagnamento coattivo in caserma della giovane donna, per una conciliazione definitiva. Un pressing nei confronti dei militari dell'Arma, sul quale si sono confrontati anche i consiglieri di Palazzo Spada, oltre a valutare le varie clausole legate alle mise delle aspiranti magistrati e alla pretesa di giudicare il quoziente intellettivo dei loro partner. E non è tutto. Stando al racconto del padre della ormai ex studentessa finita in cura in un ospedale, ci sarebbero state anche alcune pubblicazioni sulla rivista «Diritto e scienza», che avrebbero di volta in volta violato la privacy della diretta interessata. Inevitabile una domanda: possibile che sia accaduto tutto ciò? Possibile che un magistrato tra i più brillanti e autorevoli in Italia si sia lasciato andare a rapporti di questo tipo con una sua ex alunna? Contattato ieri dal Mattino, Francesco Bellomo non ha voluto fornire alcun commento, di fronte al dovere di correttezza e di trasparenza imposto dalla istituzione alla quale il consigliere fa parte.

 


E a chi gli sta vicino in queste ore, il magistrato ha ricordato che questa vicenda interessa la sua attività privata di docente, non quella pubblica di magistrato, per altro al cospetto di un procedimento che potrebbe anche concludersi con una archiviazione piena. E sempre al cospetto dei suoi più intimi collaboratori, Bellomo ha battuto un punto su tutti: se questi fatti fossero veri, come si spiega il notevole successo dell'attività di insegnamento svolgiamo da anni per una società di formazione che va avanti da anni? Possibile che tutti i miei alunni, gran parte dei quali oggi magistrati, hanno assistito a questi atteggiamenti sostenuti nel racconto che fa il padre di una ragazza? Nessuno si è indignato di fronte a un giudice-docente che avrebbe imposto la minigonna alle alunne più avvenenti? Inevitabile una stoccata polemica, sempre da parte di chi ha collaborato per anni con Bellomo: la verità è che i corsi del giudice-docente hanno la più alta percentuale di vincitori dei concorsi pubblici, un buon motivo per scatenare una montagna di fango contro chi da anni assicura formazione per i nuovi magistrati italiani.
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Il Mattino