Un articolo vero nel titolo e nel contenuto, rispettoso del pensiero e delle considerazioni espresse dal soggetto intervistato. E anche l’operazione di...
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
Dopo aver ascoltato il giornalista Manzo e analizzato il contenuto della registrazione del colloquio telefonico avuto con Esposito, i giudici del Tribunale di Napoli non hanno dubbi: il testo è vero, pienamente rispondente al contenuto del colloquio registrato da Manzo. Quindi: «L’operazione di cosiddetto editing effettuata nell’articolo può ritenersi sostanzialmente fedele al senso delle dichiarazioni del dottor Esposito che si appalesa dall’ascolto della registrazione». Diritto di cronaca rispettato di fronte alla rilevanza della questione, ma anche rispetto alla pertinenza dei contenuti trasmessi da Esposito a Manzo.
Il giudice di Cassazione, che aveva chiesto un risarcimento di due milioni di euro, si era detto diffamato perché il giornalista aveva inserito nell’intervista pubblicata una domanda che non era presente nella conversazione registrata. Una aggiunta che non ha stravolto il contenuto dell’articolo, né il valore della notizia pubblicata dal Mattino. Ma proviamo a ripercorrere il ragionamento dei giudici partenopei: «Pertanto, anche l’inserimento della domanda («Non è questo il motivo per cui si è giunta alla condanna? E qual è allora?») trova una giustificazione sul piano dell’editing e della resa giornalistica dell’intervista, perché fornisce al lettore un riferimento ad una risposta che, pur in assenza di un’espressa domanda, il dottor Esposito aveva incautamente fornito al giornalista».
Dunque, siamo nel pieno di una ricostruzione aderente al vero. Chiosano i giudici: «La forma espressiva utilizzata dal giornale può ritenersi ardita e spregiudicata, considerati anche i rapporti che vi erano tra il cronista e l’intervistato, ma è sostanzialmente corrispondente al contenuto dell’intervista, come si apprezza dall’ascolto della registrazione». E c’è un punto che spinge i giudici ad approdare a questa convinzione. È la domanda con cui Manzo chiede un chiarimento rispetto al 43esimo motivo di appello (su 46) avanzato dai legali di Berlusconi sul principio del «non poteva non sapere». Come risponde il giudice alla sollecitazione del giornalista? Usa il verbo al futuro, anticipando nell’intervista il ragionamento da riversare in sentenza: «Noi non andremo a dire quello non poteva non sapere, no tu, noi possiamo, potremo dire, diremo nella motivazione eventualmente... tu eri, tu venivi portato a conoscenza di quello succedeva». Chiaro? Inevitabile la domanda che si pongono i giudici di Napoli: come può il giudice lagnarsi del titolo del Mattino? Non sapeva che, dando quella risposta che ha inizio con «noi andremo a dire...» stava di fatto anticipando le motivazioni sulla condanna di Berlusconi? «Il dottor Esposito - insiste il Tribunale di Napoli - doveva necessariamente essere consapevole di ciò»; mentre pochi righi più avanti, si ricorda che Esposito «tuttavia, non riesce a trattenersi ed in pochi secondi pronuncia quelle frasi che non possono che rivolgersi ai giudici che devono scrivere la motivazione del caso Mediaset». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino