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L’attacco iraniano della notte fra il 13 e il 14 aprile ha accelerato la costruzione di una coalizione militare regionale fra Israele e paesi arabo-sunniti contro la comune minaccia strategica rappresentata dall’Iran. Oltre alla Giordania che ha subito riconosciuto formalmente di aver partecipato in prima persona alla difesa di Israele (con cui ha rapporti diplomatici fin dal 1994) aprendo il suo spazio aereo agli aerei israeliani e statunitensi e abbattendo alcuni droni di Teheran, ieri è stata l’Arabia Saudita, tramite fonti della famiglia reale saudita riprese dai media ebraici, ad aver ammesso il suo coinvolgimento nella difesa di Israele.
I DATI CONDIVISI
La partecipazione diretta di Riyad nella difesa di Tel Aviv segna un grande punto a favore dell’integrazione dello Stato ebraico nella regione che, come contraltare, ha il crescente isolamento della Repubblica Islamica dell’Iran. L’Arabia Saudita – che ha in vigore un accordo formale stretto con l’Iran il 10 ottobre scorso con la mediazione dalla Cina – solo recentemente aveva informato gli Stati Uniti della decisione di non stabilire relazioni diplomatiche con Israele prima del riconoscimento di uno Stato palestinese nelle frontiere del 1967 e della fine della “aggressione” israeliana nella Striscia di Gaza. Al di là delle carte e delle dichiarazioni di principio, però, sventare le capacità belliche del rivale persiano sciita assurge a priorità per la sicurezza nazionale saudita.
Una necessità rafforzata dal desiderio saudita di porsi sotto l’ombrello di sicurezza americano e che spinge la realpolitik a imporsi sulle apparenze retoriche legate alla difesa della abusata «causa palestinese».
Poi un incontro segreto nel marzo 2022 tra alti funzionari militari israeliani e arabo-sunniti presieduto dall’allora comandante degli Stati Uniti nella regione, il generale dei Marines Frank McKenzie. La prima prova generale di dialogo e coordinamento contro le crescenti capacità missilistiche e droni dell’Iran.
IL TIMORE DEL CONFLITTO
Permane nei paesi arabo-sunniti il timore di una conflagrazione regionale e il coinvolgimento negli scontri con le forze dell’Asse della resistenza guidate dall’Iran a partire dagli Houthi yemeniti, nonché la necessità di controllare i movimenti delle proprie opinioni pubbliche ostili a Israele e schierati in piazza a sostegno del popolo palestinese. Motivo per cui continuano a proclamare la propria neutralità. Una coalizione anti-iraniana in fieri che non può ancora rivelarsi.
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