Islam e migranti, gli euroscettici verso il voto a colpi di fake news

Islam e migranti, gli euroscettici verso il voto a colpi di fake news
Quando si parla di disinformazione online, il prefisso «anti» la fa da padrona. Notizie anti-migranti e anti-Islam sono state le news pubblicate da fonti non...

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Quando si parla di disinformazione online, il prefisso «anti» la fa da padrona. Notizie anti-migranti e anti-Islam sono state le news pubblicate da fonti non attendibili più condivise e discusse nei mesi di campagna elettorale che hanno preceduto le europee per cui domani gli italiani sono chiamati alle urne. Un voto cruciale per il destino del Vecchio continente, ora scosso dal terremoto della Brexit, e alle prese con le forze euroscettiche che sul contrasto all'immigrazione e l'islamofobia hanno incentrato la loro propaganda. Forse non a caso, proprio gli stessi temi hanno regalato i maggiori click ai siti di informazione «spazzatura», definiti come «fonti che intenzionalmente pubblicano notizie ingannevoli o fuorvianti, spacciandole per informazioni reali di politica, economia e cultura».


La classifica delle 20 notizie europee più condivise da queste fonti vede in testa un servizio dal titolo «I test rivelano che un bambino migrante di 17 anni ne ha in realtà 47», pubblicata da Breitbart, noto sito statunitense di estrema destra. Ma anche due articoli italiani: «Viterbo, esercito abbandona il 25 aprile monopolizzato dall'Anpi» e «L'ausiliaria Rsi zittisce la Parietti: Sacrificammo tutto per la Patria». Entrambi fanno capo a Il Primato Nazionale, sito diretto da Adriano Scianca, autore per Altaforte, la casa editrice di CasaPound. È quanto si legge in uno studio dell'Oxford internet institute britannico. Una ricerca che ha preso in esame più di 584mila tweet diffusi da 188mila utenti in sette lingue (inglese, francese, spagnolo, tedesco, polacco, svedese e italiano) e con hashtag riferiti alle elezioni europee come #eu2019, #26maggio o #stavoltavoto. Lavoro che ha permesso di isolare i link a quasi 5800 articoli. Una volta individuate le principali cinque «fonti spazzatura» in ogni lingua, gli studiosi hanno anche valutato le interazioni (cioè like, condivisioni e commenti) che le notizie condivise da questi siti hanno avuto su Facebook.
 
La buona novella: sembra che, nel complesso, durante la campagna elettorale pre-europee le notizie pubblicate da siti non attendibili siano state meno condivise che in passato. Soprattutto su Twitter, dove gli articoli che fanno capo a queste fonti rappresentano meno del 4% del totale di notizie circolate. Ma la situazione non è così rosea su Facebook tra le cui mura, che abbracciano 2.2 miliardi di utenti attivi al mese, sembra giocarsi la partita contro la disinformazione. Almeno da quel che emerge in Europa. I ricercatori di Oxford hanno notato che gli articoli condivisi da fonti spazzatura sono, infatti, molto più virali di quelli pubblicati da testate professionali: sono più ripostati, hanno più like, nonché più reazioni. Un fenomeno che, secondo Claudio Agosti, sviluppatore e hacker, è imputabile al fatto che su Facebook «la percezione del dibattito è intermediata dagli algoritmi e da messaggi condivisi in gruppi chiusi».


Agosti è l'ideatore di facebook.tracking.exposed e eu19.tracking.exposed: un progetto di ricerca open source che punta a valutare l'impatto degli algoritmi sui post politici che vediamo sulle bacheche. Lo fa attraverso delle estensioni per il browser che possono essere scaricate da tutti e svolgono una duplice funzione: permettono ai ricercatori di fare analisi e agli utenti di vedere gli effetti degli algoritmi su loro stessi. «La disinformazione spiega Agosti è personalizzata: otteniamo e forniamo dati diversi. L'algoritmo e la selezione delle fonti ha una forte influenza che non può essere sottovalutata». Così come non può essere sottovalutato il ruolo che pagine Facebook pro-estrema destra coordinate tra loro hanno avuto nel veicolare bufale e propaganda, usando dei trucchi che violavano i termini di servizio di Menlo Park, come l'uso di account falsi e il cambio di nome. Un «network europeo dell'inganno», l'ha definito Avaaz, l'organizzazione no-profit che nelle scorse settimane ha contribuito al blocco di 77 pagine europee attraverso un'indagine finita sui tavoli del social. In Italia, in particolare, sono state 23 le pagine chiuse. Tra loro c'era anche «Lega Salvini Premier Santa Teresa di Riva» che aveva dato in pasto ai suoi 16mila follower un video in cui si vedono dei migranti distruggere un'auto dei Carabinieri. Il contenuto ha scatenato migliaia di condivisioni indignate. Peccato che la scena sia, in realtà, tratta da un film. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino