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Da «ultima spiaggia» a terapia di prima scelta. Nel giro di pochissimi anni l’immunoterapia ha fatto un enorme salto di qualità tanto che oggi i clinici chiedono di estendere il ricorso ai cosiddetti inibitori dei checkpoint immunitari anche per la terapia neoadiuvante, cioè al trattamento prima dell’intervento chirurgico.
Ci sono infatti solide evidenze scientifiche, secondo le quali l’immunoterapia neoadiuvante riduce il tumore o ne può addirittura determinare la «scomparsa»: 1 paziente su 2 potrebbe non aver bisogno del trattamento adiuvante, cioè post-intervento. Inoltre i benefici dell'immunoterapia neoadiuvante si estenderebbero anche alla prevenzione delle recidive purtroppo ancora molto frequenti nei pazienti con melanoma in stadio III e IV operati (70/80%). Dati molto convincenti ci sono sul melanoma in fase iniziale e metastatico, il tumore al seno triplo negativo e per il cancro polmonare non a piccole cellule. Questo è uno dei temi centrali affrontati a Napoli in occasione della nona edizione dell’Immunotherapy e Melanoma Bridge, evento internazionale che si svolge con il contributo incondizonato di Bms e 3ps.
«I tempi sono ormai maturi - sottolinea Paolo Ascierto, presidente del convegno e direttore del dipartimento di oncologia melanoma, immunoterapia oncologica e terapie innovative dell’Istituto Nazionale dei Tumori Irccs Fondazione Pascale di Napoli -. L'immunoterapia neoadiuvante ha tutte le carte in regola per diventare lo standard di trattamento per molti tipi di tumori. Per questo, insieme alla principali società scientifiche, chiediamo all’Aifa di procedere con l’estensione dell’indicazione del farmaco immunoterapico pembrolizumab, attraverso la Legge 648, anche in fase neoadiuvante. Tale cambiamento non avrebbe neanche un costo aggiuntivo: i cicli di terapia che vengono somministrati prima dell’intervento chirurgico, infatti, andrebbero a sostituire quelli che attualmente si fanno dopo».
Proprio come per i vaccini anti-cancro a mrna, a fare da apripista per l’immunoterapia neoadiuvante sono gli studi sul melanoma. «Oggi il melanoma è una delle aree di ricerca più attive nell'immunoterapia neoadiuvante - spiega Ascierto -.
I benefici dell'immunoterapia neoadiuvante si estenderebbero anche alla prevenzione delle recidive, eventualità ques’ultima purtroppo molto frequente nei pazienti con melanoma ad alto rischio in stadio III e IV operati. In questi pazienti, il tasso di recidiva a 5 anni è superiore al 70-80%, un rischio che si dimezza con l’immunoterapia adiuvante, cioè post-intervento, ma che potrebbe diminuire ancora con l’aggiunta dell’immunoterapia pre-intervemto. «Un recente studio pubblicato sul The New England Journal of Medicine, condotto su oltre 300 pazienti, ha dimostrato che con l’aggiunta dell'immunoterapia neoadiuvante è possibile ridurre del 20% il rischio di recidiva: la sopravvivenza libera da eventi si è infatti verificata nel 72% dei pazienti trattati con l’aggiunta dell’immunoterapia pre-operatoria contro il 42% dei pazienti trattati con la sola strategia adiuvante», sottolinea Ascierto.
Siamo dunque dinanzi a un vero e proprio cambio di paradigma supportato da un numero crescente di dati clinici, non solo per il melanoma. «Ad oggi sono in corso circa 50 studi clinici di fase III sull’immunoterapia neoadiuvante per vari tipi di cancro: dal carcinoma alla vescica muscolo invasivo a diverse neoplasie della mammella fino ai tumori gastrointestinali, ovarici, del rene, della testa e del collo e del polmone. L’efficacia della somministrazione dell’immunoterapia prima dell’intervento – conclude Ascierto – non è più solo un’ipotesi, ma una realtà clinica che ha degli importanti benefici sui pazienti e che, per questo, non possiamo più ignorare».
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