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Ormai sono ai ferri corti. Dopo le tensioni sull'elezione del presidente della Repubblica ora lo scontro è sulla democrazia interna al Movimento, su una mancata autocritica all'indomani della disfatta alle amministrative e sul tentativo M5S in atto di mettere in difficoltà la linea del governo sulla guerra in Ucraina. Luigi Di Maio è ripartito all'attacco di Giuseppe Conte. Un affondo senza precedenti e durissimo: «È normale che l'elettorato sia disorientato, non siamo andati mai così male. Non credo che possiamo stare nel governo e poi, per imitare Salvini, un giorno sì e uno no, si va ad attaccarlo».
Ma l'accusa è soprattutto sulla leadership dell'avvocato del popolo considerato «ambiguo» e «autoreferenziale», servirebbe invece «più inclusività», bisognerebbe anche un po' «assumersi delle responsabilità, non si può dare sempre la colpa agli altri». La risposta dell'ex presidente del Consiglio non si fa attendere. «Quando Di Maio è stato leader, c'era un solo organo politico: il capo politico. Che faccia lezioni adesso a questa comunità di democrazia interna fa sorridere». Ed ancora: «Dire che imito il Papeete è un aspetto che trovo francamente molto offensivo. È un'offesa a un'intera comunità. Non ho mai messo in discussione la collocazione atlantica ed europeista, rischia di indebolire il governo».
Al momento non esiste l'eventualità di una negoziazione.
A fine mese dovrebbe poi arrivare il parere iscritti sul tema del superamento del doppio mandato. «Fibrillazioni erano prevedibili perché ci sono in campo questioni che riguardano le sorti personali di tanti nel M5s» allude infatti l'ex premier. Il convincimento è che quel voto possa affossare Di Maio, con il presidente M5S disposto a deroghe solo per salvare alcuni fedelissimi. Così nei prossimi giorni si alzerà ancora la tensione. Perché sia Di Maio che Conte non hanno intenzione di arretrare. «Si andrà fino in fondo», spiega un esponente vicino al responsabile della Farnesina. «Ora il presidente M5S dovrà utilizzare il pugno duro» la richiesta arrivata a Conte dai suoi fedelissimi. Ma sullo sfondo resta anche il tema del sostegno o meno al governo. Una parte del Movimento vuole uscire, «non possiamo lasciare a Salvini la possibilità di lasciarci il cerino in mano», il refrain. Da qui l'accelerazione di Di Maio per una partita che è solo all'inizio.
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