LONDRA - L'indecisione è talmente tanta che neppure sulla sorte di Theresa May c'è concordia: da una parte il parlamento ha fatto di tutto per indebolirla,...
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Intorno al tavolo c'erano i Brexiteers come Boris Johnson, Jacob Rees-Mogg e Dominic Raab e due dei potenziali successori tecnici della May nel caso fosse spinta alle dimissioni, ossia il potentissimo ministro per l'Ambiente Michael Gove e il vice de facto della premier, David Lidington. Entrambi hanno smentito le voci che li darebbero candidati a un interim a Downing Street in attesa dell'elezione di un leader in autunno, con lo scopo preciso di instradare la Brexit su un percorso meno accidentato di quello portato avanti fino ad ora. Lidington, un remainer di lungo corso, abile nelle pubbliche relazioni ma non in linea con la corrente modernizzatrice dei Tories in termini di matrimonio gay e diritti civili, ha enunciato con schiettezza una delle ragioni per cui nessuno ha mai cercato con convinzione di sostituire la May negli ultimi tempi. «Se c'è una cosa che lavorare fianco a fianco con la premier fa è curarti completamente da qualunque strisciante ambizione di svolgere il suo ruolo», ha detto. Ma le loro parole rassicuranti, unite a quelle di altri alti esponenti del partito che come Iain Duncan Smith hanno criticato i complottisti non sono bastate a fugare i dubbi sulla tenuta della May. La frustrazione all'interno del governo sta trapelando in maniera incontrollabile e sebbene non sia la prima volta che accade nell'accidentato percorso della Brexit, è vero che la situazione è deteriorata. Secondo il Sunday Times sarebbero ben undici i membri del gabinetto convinti che debba andare via. La May, dopo essere sopravvissuta a un voto di fiducia nel dicembre scorso, è inattaccabile per un anno, ma davanti alla possibilità di dimissioni di massa non si può escludere che possa deporre quella che è stata la sua arma principale di questi anni, ossia la cieca ostinazione. Oltre ai nomi di Lidington e Gove, con quest'ultimo avvantaggiato da essere un euroscettico, autore della famigerata frase «il paese ne ha abbastanza degli esperti», tra gli ipotetici premier di scopo ci sarebbero anche il ministro degli Esteri Jeremy Hunt e la presidente della commissione al Bilancio Nicky Morgan. Al di là della riunione del gabinetto, la settimana si preannuncia incandescente, con il Parlamento che probabilmente si pronuncerà con voti indicativi e quindi non vincolanti sulle varie ipotesi per uscire dallo stallo: dovrebbe avvenire mercoledì qualora venisse approvato l'emendamento della laburista Yvette Cooper per permettere al Parlamento di prendere le redini della tabella di marcia dei lavori.
La May ha detto che non sottoporrà il suo testo al terzo voto, sempre che lo speaker John Bercow lo consenta, a meno di non avere certezze sul fatto che possa passare: non è detto che i Brexiteers, davanti all'offerta di un passo indietro della premier, non cedano e lo votino, anche perché è probabile che lo scenario in futuro si faccia meno favorevole per loro. Il cancelliere dello Scacchiere, Philip Hammond, rompendo con la linea del governo, ha detto in tv che un secondo referendum sull'accordo della May è una proposta «da considerare», mentre per altri nel partito sono le elezioni generali l'unica soluzione. La stessa linea del Labour, che però, come i Tories, avrebbe il grave problema di come trattare la Brexit nel manifesto elettorale, visto che non c'è accordo al suo interno. Tutto questo dovrà trovare una forma entro il 12 aprile. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino