«Morte di Maradona, fu omicidio volontario»

«Morte di Maradona, fu omicidio volontario»
«Abbandonato al suo destino». Sono atroci le parole che chiudono la relazione della procura di San Isidro. Era l'idolo di tutti, Diego Armando Maradona. Di tutti...

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«Abbandonato al suo destino». Sono atroci le parole che chiudono la relazione della procura di San Isidro. Era l'idolo di tutti, Diego Armando Maradona. Di tutti tranne di chi doveva preoccuparsi delle sue cure, di chi doveva farlo uscire dal tunnel. Non stata solo negligenza la morte del più grande calciatore della storia. No, per i pm che indagano sulla tragedia del Diez è assai peggio: si tratta di omicidio volontario.

E in sette, compreso il solito neurochirurgo Leopoldo Luque e la psichiatra Augustina Cosashov dovranno rispondere di questa accusa pesante. Non si parla di complotto, non c'è ancora una ipotesi di associazione. Almeno per adesso. Ma è evidente che quello che emerge dalla relazione è qualcosa che mette i brividi. Saranno ascoltati nei prossimi giorni i sette della cricca dell'orrore ma intanto i pm che indagano, hanno vietato a tutti di poter lasciare l'Argentina. Sono nei guai, seri, gli infermieri Ricardo Omar Almirón e Dahiana Gisela Madrid, il loro coordinatore Mariano Perroni, il medico che ha stabilito il ricovero domiciliare Nancy Forlini e lo psicologo Carlos Diaz. Il rapporto voluto dalla procura di San Isidro ha stabilito che le cure di chi doveva assistere l'ex fuoriclasse sono state «inadeguate, carenti e spericolate» e «hanno affidato al caso la salute del paziente». Rischiano 25 anni di carcere.


LE ACCUSE AI SETTE
I pm hanno depositato i nuovi capi di imputazione e ora toccherà al giudice Orlando Diaz stabilire come procedere. Il documento di 29 pagine è spietato. Racconta di atteggiamenti cinici, glaciali, distaccati. E peggiora la posizione di chi è stato vicino a Maradona. Dando ragione alla tesi di Dalma e Gianinna, le figlie del Pibe. In primo luogo a essere tirato in ballo è Luque, 39 anni, il neurochirurgo che negli ultimi anni è sembrato una specie di ombra per Diego. Ecco, secondo le accuse, avrebbe ignorato i sintomi che Maradona ha avuto tra l'11 e il 25 novembre: «Aveva piena conoscenza dei sintomi ma evitava di frequentare o fornire adeguate cure mediche, non garantendogli controlli e accertamenti cardiologici, evitando di convocare specialisti in malattie cardiovascolari, epatiche e renali. Inoltre, in modo sistematico, ha ignorato e sottovalutato i sintomi e i segni compatibili con lo scompenso cardiaco che gli sono stati segnalati», si legge nella relazione che è un pugno nello stomaco. I pubblici ministeri menzionano un giorno particolare: il 18 novembre, una settimana prima della morte. Quel giorno, diverse persone che hanno visitato Maradona hanno fatto notare a Luque che era estremamente gonfio e la risposta del neurochirurgo era sempre quella di ridimensionare la situazione.

Che poi è precipitata. «Di fronte agli avvertimenti sullo stato di salute del paziente riguardo al suo gonfiore, si è astenuto dall'agire secondo le regole, assumendosi il rischio evidente, noto e prevedibile che ciò comportava, che ha quindi approvato con disprezzo». Sì, disprezzo. Anche per quanto riguarda Agustina Cosachov, la psichiatra entrata nel circolo medico di Diego nei primi mesi del 2020, le accuse sono dure. Nella relazione, si fa notare che i farmaci che ha somministrato a Maradona non erano adeguatamente controllati e viene evidenziato tutte le volte che ha impedito ad altri medici di visitarlo. E nello specifico giorno della morte: «I giorni precedenti ha allontanato i terapeuti Carlos e Alejandro Cottaro, allo stesso tempo ostacolando la presenza di un medico clinico e di un nutrizionista. Inoltre non si è presa cura personalmente della rianimazione del paziente quando è stato rilevato che quel 25 novembre non aveva segni vitali. Ed era l'unico medico presente nella casa in cui è stato effettuato il ricovero». I due terapeuti vigilavano sul suo trattamento contro l'alcolismo. E nella relazione emerge che siano stati cacciati. «In nessun momento sono stati posti limiti alle richieste del paziente che doveva contenere, accompagnare e garantire il loro completo benessere», dice la perizia del Tribunale. Non è finita. Lo psicologo Carlos Diaz, il terzo dei professionisti indicati nel fascicolo come membro dell'equipe medica curante era stato tra gli ultimi ad accedere nel cerchio magico (a metà 2020) ma in maniera abile, sottile, quasi subdola, forte anche della sua posizione, era riuscito a diventare il gestore dei suoi rapporti con i propri parenti. Grazie a quello che viene definito «potere decisionale che andava oltre l'aspetto puramente medico». Anche i pubblici ministeri vanno oltre e indicano Diaz come il responsabile della manipolazione nei confronti della famiglia perché, scrivono nella relazione ripresa da Infobae.com e dalla Nacion, avrebbe approfittato di quella sfera di potere sul paziente per isolarlo dai figli, manipolandolo, dichiarando che tutto ciò che stava accadendo fosse il prodotto della decisione libera e spontanea di Maradona. E, a quanto pare, non era così. A volerlo isolati erano loro.


PERSONAGGI CHIAVE


La quarta presa di mira è Nancy Forlini, anello di congiunzione tra i medici personali di Diego e l'azienda di medicinali prepagati. Nello specifico, viene accusata di non aver fornito gli elementi necessari per il ricovero domiciliare e di non aver effettuato un'analisi della casa di Tigre per avvertire che non aveva i requisiti minimi per un paziente come l'ex calciatore, appena dimesso dall'ospedale. Quanto poi agli infermieri Dahiana Gisella Madrid e Ricardo Almiron sono accusati di non aver assistito correttamente Diego nelle ore precedenti la sua morte. «Hanno effettuato - è scritto - controlli sbagliati: o perché non li hanno fatti correttamente o perché hanno persino omesso di entrare nella stanza». È probabile, quindi, che nei giorni precedenti già si potevano notare segni e sintomi compatibili con lo scompenso cardiaco che ha poi portato alla morte. A questi argomenti si allegano quelli che complicano la posizione del settimo imputato, Mariano Perroni, capo degli infermieri che, sempre secondo la relazione della Procura, non ha controllato come avrebbe dovuto e ha omesso o nascosto informazioni nelle sue relazioni. «Ha mostrato un comportamento disinteressato e indifferente di fronte alla situazione di emergenza». E in tutto questo spettrale scenario, i pm hanno scritto che dai telefoni cellulari emerge che il team medico sapeva che negli ultimi mesi della sua vita, Maradona avrebbe continuato a bere alcol in eccesso e avrebbe fatto uso di farmaci psichiatrici e di marijuana. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino