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Erano partiti in 339, dopo tre anni sono 245. Novantaquattro defezioni in 36 mesi. Numeri da record per la diaspora grillina. Perso per strada quasi il 28% dei seggi. Per loro fortuna, nel marzo del 2018, sono stati premiati dagli elettori oltre ogni misura altrimenti la rappresentanza istituzionale del Movimento sarebbe evaporata. Se la legislatura durasse più di cinque anni, con questo ritmo delle stelle rimarrebbe la polvere. Mettendo insieme tutti i parlamentari eletti con il simbolo grillino che, volontariamente o a seguito di espulsione, hanno preso altre vie abbiamo quasi due volte i rappresentanti di Italia Viva (46 tra deputati e senatori) e di Fratelli d’Italia (33 deputati e 19 senatori) e si è poco distanti dai numeri del Pd (128 parlamentari). Se dissidenti ed espulsi riuscissero, per assurdo – molti si sono già ricollocati -, a fare il gruppo unico dei fuoriusciti, sarebbero 59 deputati (quinto gruppo alla Camera) e 35 senatori (quanti ne ha il Pd). Numeri che partiti storici della Prima Repubblica non hanno visto in tutta la loro storia.
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PRIMA DEL VOTO
La storia della fuoriuscita dei grillini di questa legislatura comincia addirittura durante la campagna elettorale. Ci sono cinque deputati e tre senatori 5stelle cacciati prima di mettere piede in Parlamento. Furono candidati e poi affrontarono tutta la campagna elettorale da espulsi. Ma furono eletti lo stesso. Il Movimento gli chiese di depositare nelle Corti d’appello la rinuncia all’elezione. Figuriamoci. Emanuele Dessì, candidato al Senato nel collegio Roma 3, fu messo sotto accusa dal Movimento con una indagine interna per delle foto in cui compariva con uno degli Spada; poi fu perdonato e riammesso. Carlo Martelli e Maurizio Buccarella, invece, furono allontanati per le vicende legate ai mancati bonifici di restituzione e una volta eletti si iscrissero direttamente al Gruppo misto. Destini simili – mancate restituzioni, pendenze penali o addirittura una vecchia iscrizione alla massoneria - per altri deputati: Andrea Cecconi, Catello Vitiello (oggi con Italia Viva), Silvia Benedetti, Antonio Tasso e Salvatore Caiata (Fratelli d’Italia).
FUGA QUOTIDIANA
Partita faticosamente la legislatura, nel giugno del 2018, con la nascita del Governo Conte dopo tre mesi dal voto, comincia la fuga quotidiana. Nel luglio, viene espulso Andrea Mura. È un velista, non si presenta mai in Parlamento e in una intervista se ne vanta. Viene cacciato, poi si dimette. Nel dicembre, tocca al deputato Matteo Dall’Osso. Passa addirittura con Forza Italia. A fine anno, in dissenso con il governo a trazione leghista, si mettono fuori dal Movimento i senatori Gregorio De Falco e Saverio De Bonis. Nell’aprile del 2019, viene espulsa la deputata Sara Cunial, oggi nell’occhio del ciclone per alcune sue posizioni negazioniste sul Covid-19. Pochi mesi dopo, espulsa anche la senatrice napoletana Paola Nugnes, che dissente sui decreti sicurezza.
L’ULTIMO ATTO
L’ultima frattura nel Movimento è quella più clamorosa, per numeri e circostanze. Quindici senatori espulsi tutti insieme, altri sei sotto osservazione perché astenuti sulla fiducia al governo Draghi. Ventuno deputati mandati via dal gruppo alla Camera, e altri undici da valutare perché assenti per lo stesso motivo. Ma tutta la storia dei gruppi parlamentari 5stelle è contrassegnata da fuoriuscite, abbandoni, cacciate. Anche nella scorsa legislatura, la prima dei grillini in Parlamento, pur essendo tutti all’opposizione e non potendosi dividere su grandi scelte, si sono persi per strada 21 deputati e 18 senatori. Trentanove parlamentari su 162: più del 20%. Il primo deputato a essere cacciato fu Marino Mastrangeli. L’accusa? Aveva partecipato a una trasmissione televisiva: allora vigeva il divieto assoluto. Fa quasi tenerezza, a pensarci oggi, anche il primo espulso in assoluto della storia del Movimento. Era il 2012 e fu cacciato il consigliere comunale di Ferrara, Valentino Tavolazzi. Aveva partecipato a una riunione “non autorizzata”. In Emilia Romagna ne uscirono poi diversi: Federica Salsi, a Bologna, con Giovanni Favia, consigliere regionale, fino al sindaco di Parma, Federico Pizzarotti, cacciato per non aver comunicato di aver ricevuto un avviso di garanzia (poi l’inchiesta fu archiviata). Come un sacco di farina con un piccolo foro, ogni giorno se ne perde un po’. Scelte individuali, contrapposizioni su rimborsi, stipendi, fedine penali discusse, dichiarazioni contestate, piccoli scandali di provincia, voti in dissenso: è una lenta emorragia, quella di un Movimento che paga il prezzo di una selezione alla fonte grossolana, quasi inesistente (parlamentarie on line con video di autopromozione, liste addirittura troppo corte per i seggi conquistati, eletti che nemmeno si conoscevano tra loro) e della mancanza di un terreno culturale e di una struttura organizzativa davvero comune. Lo dimostra il fatto che deputati e senatori eletti sotto lo stesso simbolo poi sono andati a collocarsi un po’ dappertutto: da Fratelli d’Italia a Sinistra italiana, dalla Lega a Forza Italia, da Italia Viva ad Azione di Calenda. Parlamentari in cerca d’autore.
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Il Mattino