'Ndrangheta, nella maxi-retata da 169 arresti anche quattro campani

Nel riquadro Aniello Esposito
Stige, come uno dei cinque fiumi che scorre negli inferi. È il nome dell'operazione della Dda di Catanzaro, che ha portato all'arresto di ben 186 indagati tra la...

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Stige, come uno dei cinque fiumi che scorre negli inferi. È il nome dell'operazione della Dda di Catanzaro, che ha portato all'arresto di ben 186 indagati tra la Calabria, l'Emilia Romagna, il Veneto, il Lazio, la Lombardia, la Campania e la Germania. Un'inchiesta sulla cosca di ndrangheta Farao-Marincola dell'area di Cirò Marina in provincia di Crotone, delegata dalla Procura ai carabinieri del Ros e del comando provinciale crotonese. Indagine su una cosca insidiosa e potente, con il capostipite settantunenne Giuseppe Farao da tempo in carcere condannato all'ergastolo. I suoi referenti, con affiliati e imprenditori collusi, ma anche politici locali, controllavano vaste zone di territorio con affari estesi al nord Italia e in Germania, tra l'Assia e la città di Stoccarda.

 
Commercio di vino, ristoranti, raccolta e riciclaggio della plastica, commercio del pesce, lavanderia industriale, distribuzione bevande, agenzie immobiliari, onoranze funebri e, più di recente, la gestione dei servizi di accoglienza migranti erano i principali affari della cosca, che alimentavano una cospicua «bacinella» come in gergo viene definita la cassa dei «locali» dei gruppi di ndrangheta.
Tra gli arrestati, c'è un imprenditore napoletano 36enne, residente a Teora in provincia di Avellino e domiciliato a Cardito: Aniello Esposito. Viene accusato di concorso esterno in associazione camorristica e concorso in peculato per la gestione e amministrazione di un centro di accoglienza per migranti minorenni non accompagnati, la «Casa di cura clinica Sant'Antonio», a Cirò Marina. Esposito, marito del consigliere comunale di opposizione ad Afragola, l'avvocato Cristina Acri, gestisce anche un centro di accoglienza migranti a Dugenta in provincia di Benevento e un altro centro ad Afragola. Quest'anno scadrà l'appalto di raccolta rifiuti per il comune di Casavatore, assegnato ad una ditta sempre di Esposito. Nel luglio del 2016, l'imprenditore venne aggredito ad Afragola e ferito ad una gamba. Intervistata, la moglie smentì legami dell'accaduto con le attività imprenditoriali del marito, interpretando il ferimento come conseguenza del fallito tentativo di rubargli l'auto.
Esposito aveva creato un cooperativa, la «Omnia», per la gestione del centro di Cirò Marina, che di fatto era amministrato da una sua ditta individuale dallo stesso nome: «Omnia». Un'attività che, secondo l'accusa, avrebbe garantito notevoli guadagni alle ditte di approvvigionamento e servizi per il centro gestite dalla cosca. Secondo la Dda di Catanzaro, il centro era gestito da Esposito con quattro affiliati delle famiglie Siena e Anania. L'allora sindaco di Cirò Marina, Roberto Siciliani, avrebbe assegnato 130.425 euro al centro, senza fare verifiche. Ed Esposito avrebbe emesso fatture per servizi mai prestati. L'affiliato Giuseppe Spagnolo, detto «Peppe u banditu» era intercettato con un virus spia nello smartphone. Tra i suoi colloqui, anche una conversazione con Esposito, che gli annuncia euforico l'appalto ottenuto ad Afragola: «Ieri mi hanno aggiudicato una gara di cento immigrati! Cento persone! Per altri due anni! E sono un lavoro di due milioni di euro! Ho preso un immobile, un palazzo ad Afragola di sette appartamenti e sedici di personale e noi ad Afragola di alberghi non ne abbiamo».
Dopo una prima gestione del centro migranti, Spagnuolo si era defilato considerandolo poco redditizio. Ma scrive il gip di Catanzaro, Giulio De Gregorio: «Il concorso esterno di Aniello Esposito rispetto alla cosca cirotana si apprezza nella gestione del centro accoglienza che l'imprenditore campano accetta in società di fatto con Carmine Siena». E ancora: «Doveva dar conto alla cosca della gestione e delle possibili modifiche della società Immobiliare Toni sas, formalmente titolare della struttura ricettiva. Ha offerto un contributo determinante alla cosca nella gestione del centro tra il 2014 e il 2015».
Nell'inchiesta sono coinvolti diversi amministratori e politici locali, tra cui il presidente della Provincia di Crotone, nonché attuale sindaco di Cirò Marina, Nicodemo Parrilla. Il prefetto Cosima Di Stani ha commissariato il Comune. «Ormai nelle istituzioni locali la ndrangheta ha messo suoi uomini funzionali agli interessi dell'organizzazione criminale» ha commentato il procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri.
Nell'inchiesta, oltre ad Aniello Esposito, compaiono altri tre campani. Martino Aulisi, 30 anni, e il fratello Sante, 27 anni, battipagliesi residenti a Bellizzi, vengono accusati di associazione a delinquere semplice. Erano in affari con Luigi Muto, affiliato alla cosca con il compito di riciclare liquidità attraverso conti correnti e carte ricaricabili. Con Muto, Martino Aulisi avrebbe realizzato una serie di truffe attraverso compravendite di auto. Martino Aulisi aveva contatti in Bulgaria, per immatricolare auto e riciclarne i libretti di circolazione. Le auto, in prevalenza Audi e Bmw di grossa cilindrata, venivano noleggiate in Germania, immatricolate in Bulgaria e reimmatricolate in Italia dove venivano vendute ad acquirenti che non sospettavano l'acquisto illegale. La truffa non finiva qui: le auto venivano rubate e riportate in Germania dove, con targa tedesca, venivano riportate alla società di noleggio tedesca. E in questo traffico, che coinvolgeva 11 persone tra Calabria, Campania e Lazio, i fratelli Aulisi erano importanti.
L'imprenditore edile casertano Roberto Corbo, 41 anni, residente a Sessa Aurunca, è invece accusato di concorso mafioso esterno.

 

La «Corbo group spa» avrebbe partecipato a subappalti edili per conto della cosca, in Umbria, Toscana, Veneto, ma anche in Germania. A svolgere questo ruolo, oltre a Corbo ci sarebbero stati anche altri imprenditori con l'aiuto di Vicenzo Giglio. Scrive il gip: «Si sono avvalsi della capacità di Vincenzo Giglio, o meglio della sua funzione apicale nella cosca strongolese, per accaparrarsi lavori, realizzando pertanto la capacità di penetrare nei tessuti produttivi controllati dalla consorteria per ottenere dei vantaggi diretti».

L'inchiesta apre squarci su una rete fitta a più maglie di affari e controlli illegali che, ancora una volta, dimostra la forza di infiltrazione delle cosche calabresi in più zone d'Italia e non solo. Basti pensare ai ristoranti, come «Vergine e peperoncino» a Stoccarda, aperti con capitali reinvestiti. Gli inquirenti hanno sequestrato 50 milioni a più affiliati della cosca.
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Il Mattino