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Non bastava aver messo le mani su ben 24 società da Torpignattara al Tuscolano, aver iniziato a stringere accordi pure con i Moccia per spartirsi i locali da “rifornire”, la locale di ‘ndrangheta capeggiata da Vincenzo Alvaro e Antonio Carzo, finiti in carcere insieme ad altre 75 persone tra la Capitale e la Calabria a seguito dell’ultima maxi-operazione “Propaggine” della Dda e della Dia, puntava a consolidare il proprio potere e ad espandersi ancora, conquistando catene di supermercati e bar di lusso intorno al Vaticano. Avendo chiaro come a Roma bisognava però muoversi con cautela considerata l’esistenza di una Procura composta da tutti «quelli che combattevano dentro i paesi nostri... Cosoleto... Sinopoli... tutta la famiglia nostra...», dirà proprio Carzo ad un suo interlocutore facendo riferimento agli ex procuratori Giuseppe Pignatone, Michele Prestipino e Renato Cortese (un tempo dirigente della Squadra Mobile) e per questo definiti «maledetti».
'Ndrangheta Roma, le ambizioni
Ma oltre agli affari c’era pure l’ambizione di entrare nella massoneria o almeno era questo il desiderio di Domenico Carzo, figlio di Antonio che di fronte a due medici - ritenuti dei validi condotti per entrare in una loggia - negherà che suo padre, suo zio e suo nonno siano o siano stati elementi di spicco della criminalità. Ma al netto di quelle che potevano essere le “pulsioni” e le “intraprendenze” dei singoli, sempre Carzo tenderà più volte a ribadire come nonostante gli screzi, avuti o probabili, la loro è una «famiglia».
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Forte degli anni passati in carcere, Carzo commissiona al figlio Domenico e ad un altro affiliato il pestaggio di un uomo che doveva rientrare di ben 250 mila euro. «Penso che dopo ‘sta passata...di cazzotti ... poi a cuccia... poi glielo dici... gli devi dire “la prossima volta ti va peggio con l’a...ha detto mio padre che vuole tirarti l’acido in faccia per bruciarti». Parlando con il malcapitato debitore gli dirà: «se ti piglio ti scanno come un capretto...». Anche per gli affiliati che sbagliano non c’è pietà: chi vìola le “regole” del clan deve rispondere al “Tribunale della ‘ndrangheta” in una sorta di processo con relative sanzioni. Intanto oggi un giudice vero, quello che ha ordinato gli arresti, interrogherò Alvaro e Carzo.
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Il Mattino