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Nicoleta Rotaru aveva paura che Erik Zorzi la uccidesse. E così, tra il tentativo di ricostruirsi una vita (una nuova frequentazione, un nuovo lavoro, il trasloco all’orizzonte) e l’incubo quotidiano, aveva confessato alle sue due amiche più strette di voler fare testamento per difendere le figlie e non lasciare che, se fosse successo ciò che poi è accaduto, loro stessero con il padre o la sua famiglia. Lo aveva detto mesi prima che lui (secondo la procura) la uccidesse nel sonno strangolandola con una cintura e poi inscenandone il suicidio nel box doccia del bagno, la notte tra l’1 e il 2 agosto 2023. Zorzi è stato arrestato sette mesi dopo, grazie alla registrazione dei rumori di quella notte fatta dalla vittima con il suo cellulare, non appena era iniziata la lite.
Il passaggio
Parlando con la procura, un’amica di Nicoleta ha ammesso di “aver ricevuto la confidenza” da lei “la confidenza in merito alla sua intenzione di fare testamento, indicando – recita l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari, Laura Alcaro – nell’atto le persone a cui avrebbe voluto fossero affidate le figlie in caso di sua morte”. Un’affermazione che Nicoleta Rotaru aveva confermato anche ad un’altra sua amica, la quale l’ha subito riferito agli investigatori. La donna ha detto che negli ultimi tempi Nicoleta “appariva molto preoccupata, temeva di venire uccisa e per tale motivo esprimeva – continua l’atto con il quale il 22 marzo è stato arrestato Erik Zorzi – che se ciò fosse accaduto, avrebbe voluto che le figlie non fossero affidate alla famiglia del padre”.
I 100 metri
È la figlia più grande che, sentita a scuola in audizione protetta, non rispetta il diktat del padre sul mantenere il silenzio in merito ai fatti accaduti alla madre che racconta come “il padre era arrabbiato con la mamma perché aveva saputo della sua intenzione di andare via di casa portando con sé lei e la sorella”. La figlia più grande ha detto che più volte Nicoleta le ripeteva “sono gli ultimi 100 metri”, come a dire che l’uscita dal tunnel sarebbe stata questione di poco tempo. Sempre lei ha dato una mano agli inquirenti raccontando che la notte dell’omicidio aveva sentito dei litigi dalla camera dei genitori.
L'omicidio
Non fosse stato per l’istanza delle due avvocatesse che avevano seguito Nicoleta durante la separazione e che avevano insistito per una perizia sul cellulare della donna (ben sapendo che lei registrava ogni cosa), la messa in scena organizzata da Erik Zorzi avrebbe retto. I quattro medici legali che avevano eseguito l’autopsia sul corpo della mamma 39enne, nata in Moldavia e arrivata in Italia nel 2006 dopo le nozze con Erik Zorzi, “non presentava alcun segno di aggressione o di difesa”. Ma una volta che ai medici era stato fatto sentire l’audio della notte, ecco cambiare le carte in tavola. Sono loro stessi a dire che i segni del decesso sono compatibili con la dinamica di un omicidio nel sonno. Nicoleta viene aggredita da dietro e così non può difendersi mentre Zorzi (nella ricostruzione del pm e del giudice) le stringe una sua cintura per pantaloni al collo, tirando la cinghia nella fibbia.
La porta
Poi, con Nicoleta agli ultimi respiri, inizia la preparazione della simulazione del suicidio. Anche in questo caso, scrive il gip Alcaro, “a far perdere fondamento a uno degli elementi cardine dell’esclusione dell’intervento di altrui nella morte di Nicoleta” è la figlia maggiore: agli investigatori dice che il padre era capace di smontare e rimontare il pannello della porta scorrevole della porta del bagno, spiegando anche come faceva di solito. Una procedura ripetuta anche durante una perizia sulla porta che ha confermato come ci fossero in tutto cinque modi di aprire quel pannello, pur avendo la porta chiusa dall’interno con la chiave.
Il giudizio
“Nessuna descrizione verbale può rendere adeguatamente l’intensità, l’inaudita pervicacia dell’azione dello Zorzi – è scritto nelle pagine finali dell’ordinanza di custodia cautelare – che per quasi un’ora offende la donna esprimendo con ogni possibile ingiuria la gelosia che lo divora”.
Il Mattino