In pensione con la quota 100, l'allarme dell'Inps. E la Lega pensa al superbonus

In pensione con la quota 100, l'allarme dell'Inps. E la Lega pensa al superbonus
Il presidente dell'Inps, Tito Boeri, prova a smontare uno dei pilastri del contratto di governo: la promessa di rivedere la legge Fornero dando la possibilità di...

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Il presidente dell'Inps, Tito Boeri, prova a smontare uno dei pilastri del contratto di governo: la promessa di rivedere la legge Fornero dando la possibilità di lasciare il lavoro con la ormai famosa quota 100 come somma di età e anni di contribuzione. Nella sua relazione, Boeri disegna un quadro allarmante. Quattro simulazioni per quattro possibili declinazioni del progetto del governo gialloverde. Primo caso: quota 100 con qualsiasi età. Significa poter lasciare, per esempio, anche a 60 anni con 40 di contributi. Costo per le casse dello Stato a regime, 20 miliardi di euro. Secondo caso: quota 100 con 64 anni minimi di età (e dunque almeno 36 di contributi). Costo a regime 18 miliardi. Terzo caso: età minima 65 anni, costo 16 miliardi. Quarto e ultimo caso, un'età minima di 64 anni e tenendo fermi i requisiti di anzianità contributiva attuali, costerebbe a regime 8 miliardi. Boeri si spinge anche oltre. Dice che con una riforma del genere il primo anno ci sarebbero 750 mila persone in più in pensione. Il secondo anno un altro milione. Un'ecatombe per il sistema previdenziale.

 
«Fossi stato in Boeri sarei stato più prudente», dice al Messaggero Alberto Brambilla, presidente del Centro studi scenari previdenziali e principale autore della proposta di riforma pensionistica inserita nel programma della Lega. «Il presidente dell'Inps», aggiunge, «non ci ha mai chiesto cosa abbiamo in mente di fare, non conosce i dettagli della nostra proposta che è molto articolata. Ma soprattutto, se ci avesse consultato, gli avremmo spiegato che nessuno ha intenzione di sfasciare i conti pubblici». Alcuni punti della proposta di riforma della Fornero portata avanti dalla Lega, in realtà, sono noti. L'idea è quella di fissare l'età minima per uscire dal lavoro a 64 anni di età (con un minimo di contributi di 36 anni), e permettere comunque il pensionamento con 41 anni e mezzo di età. Tutti parametri che continuerebbero ad essere agganciati all'andamento dell'aspettativa di vita.

È noto anche che la proposta prevede un ricalcolo contributivo degli assegni a partire dal 1996. E questo ridurrebbe già di molto l'impatto sui conti pubblici. Certo, se le stime di 750 mila uscite nel primo anno di riforma delle pensioni citate ieri da Boeri fossero confermate, sarebbe un problema serio comunque. «Ma Boeri», sostiene Brambilla, «non dice da dove sono usciti fuori quei numeri. Ripeto», aggiunge ancora l'ex sottosegretario al Welfare, «la nostra è una proposta molto articolata che prevede tutta una serie di opzioni, compresa la reintroduzione del superbonus della legge Maroni che aveva funzionato molto bene». Il riferimento è a una vecchia norma poi cassata, che prevedeva per chi rimaneva al lavoro pur avendo maturato i requisiti per lasciarlo, l'accredito dei contributi in busta paga, ottenendo un aumento esentasse pari esattamente alla contribuzione previdenziale, un po' più del 30 per cento. «Credo», conclude Brambilla, «che sui conti della nostra riforma il presidente dell'Inps avrebbe dovuto avere una maggiore umiltà di capire».


Per adesso la riforma delle pensioni è comunque scomparsa dai radar. Nella sua audizione in Parlamento, per esempio, il ministro dell'Economia Giovanni Tria non ne ha fatto cenno. Certo, la competenza non è sua ma del ministro del lavoro Luigi Di Maio. Ma la revisione della Fornero catalizza attenzione soprattutto per gli impatti sui conti pubblici. L'intenzione di Lega e Movimento Cinque Stelle, comunque, è di preparare già per la legge di bilancio un progetto dettagliato. Che Boeri potrà al quel punto verificare. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino