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Più ci si avvicina al momento della verità, a quel Consiglio dei ministri chiamato giovedì mattina a dare il via libera alla legge di bilancio, più i partiti alzano la voce. Anche Confindustria si fa sentire, mentre Cgil, Cisl e Uil per un giorno tacciono in attesa dell’incontro-scontro con Mario Draghi previsto per questo pomeriggio. E Matteo Salvini, come annunciato, è andato a far visita al premier con l’obiettivo di portare a casa un’uscita da quota 100 più lontana possibile dai 67 anni di età previsti dalla legge Fornero.
Il leader della Lega si è presentato a palazzo Chigi accompagnato dal responsabile al Lavoro, Claudio Durigon, e dal sottosegretario all’Economia Federico Freni. Ma l’incontro con Draghi, durato meno di un’ora, si è svolto a quattr’occhi. Ed è stato seguito, mentre palazzo Chigi ha scelto il silenzio, da un paio di note leghiste. La prima: «La Lega è al lavoro sul “salva pensioni”, per evitare il ritorno alla Fornero». La seconda: «Lungo e positivo colloquio tra Salvini e il presidente del Consiglio. Il leader della Lega ha illustrato le sue proposte per rilanciare il Paese e difendere lavoro e pensioni». Salvini, insomma, è tornato a chiedere a Draghi di non tornare alla legge Fornero. E ha proposto lo schema di 102-102 per il 2022 e 2023 o quota 41 (di contributi) con 62 anni di età, spingendo per un fondo ad hoc per le uscite anticipate e chiedendo deroghe per le imprese con meno di 15 dipendenti, oltre all’estensione dei contratti di espansione e altre misure volte ad attutire gli effetti dello “scalone”.
Ma il premier, pur se con garbo, ha ribadito che alla Fornero si deve tornare anche se «con gradualità». Perché è l’unico schema sostenibile per i conti pubblici e per di più è stato introdotto sotto dettatura di Bruxelles.
Chi ha parlato con Draghi dopo il faccia a faccia, descrive il premier «tranquillo». E spiega: «Con la Lega ci siamo quasi. È vero che loro propongono 102 e 102 e noi rispondiamo con 102, 103 e 104, ma si sta ragionando assieme su un ritorno graduale alla legge Fornero». Insomma, «c’è disponibilità a chiudere». Allarme invece in vista dell’incontro di oggi con i sindacati: «Con Cgil, Cisl e Uil, ma soprattutto con Landini, le distanze sono abissali. Vogliono smantellare la Fornero e ciò non è possibile». Per il resto, «la situazione è sotto controllo, problemi veri non ce ne sono». Il premier «ha già chiuso con i 5Stelle sul rifinanziamento del reddito di cittadinanza e il Pd avrà una buona riforma degli ammortizzatori sociali».
In realtà è braccio di ferro anche sul taglio della tasse. Draghi e il ministro dell’Economia Daniele Franco, sostenuti dal leader del Pd Enrico Letta, puntano a destinare tutti e gli 8 miliardi previsti per la sforbiciata interamente al taglio del cuneo fiscale a favore dei lavoratori. Il capo di Confindustria, Carlo Bonomi, che difende il premier e condanna «le bandierine dei partiti», si dice d’accordo: «Serve un impatto importante per dare più soldi in tasca agli italiani e stimolare la domanda interna ancora ferma». E dal suo entourage filtra una proposta che suona così: «Due terzi del taglio del cuneo a favore dei lavoratori e un terzo alle imprese». Commento di chi lavora per il governo al dossier: «Potrebbe essere un compromesso ragionevole, non siamo lontani da un possibile punto di intesa».
In ogni caso Draghi ha una via di uscita. Il premier ha individuato assieme a Franco un modo per dribblare lo scontro e scongiurare lo stallo. «Se non si troverà un accordo», spiega un’alta fonte di governo, «si farà un fondo ad hoc dove convogliare gli 8 miliardi e si rimanderà l’intervento al primo aprile o al primo luglio. È già successo per il bonus degli 80 euro, per l’ultimo taglio del cuneo fiscale, per l’assegno unico a favore dei figli. Si può fare ancora, anche se la soluzione migliore è raggiungere l’intesa».
Altro nodo da sciogliere è il cashback: Giuseppe Conte, il leader dei 5Stelle che a breve potrebbe incontrare Draghi, invoca «il rispetto degli accordi: va ripristinato nel 2023». E pretende la proroga al 2023 del superbonus al 110% anche per le case unifamiliari. Ma con un tetto in base al reddito «per non aiutare i ricchi».
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