Solleva un bambino di 16 mesi per i capelli durante il cambio del pannolino, tata finisce sotto processo per percosse aggravate e viene condannata a mille euro di multa. Barbara...
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La tata, a quel punto, ha mollato la presa e si è ammutolita, per poi confessare le percosse alla madre del piccolo. «Ho fatto una cosa gravissima a suo figlio», le ha raccontato. «Gli ho fatto male. L’ho afferrato per i capelli e strattonato. So che è gravissimo e non credo che potrò restare ancora a lavorare». Il caso era stato subito denunciato e ieri per la tata manesca è arrivata la condanna firmata dal giudice di pace penale Gregoria Pellegrino. Per la famiglia, che si è costituita parte civile assistita dall’avvocato Alessandro Gentiloni Silveri, è stato un sollievo, che però non ha scalfito il dolore e il rimpianto di aver affidato il piccolo a una tata che solo all’apparenza si presentava come una professionista affidabile. La bambinaia, probabilmente, in cuor suo sperava di archiviare la vicenda con delle scuse accorate. Dopo la confessione dell’orribile trattamento riservato al bambino si era permessa di scrivere due messaggi WhatsApp: «Vi chiedo umilmente scusa. Scrivo perché non riesco a parlare. Meglio che non venga più. Scusate ancora per quello che ho fatto. Chiedo scusa anche al piccolo».
E poi, rivolgendosi alla mamma: «Scusa ancora. So che non mi vuoi più sentire. È l’ultima volta che scrivo. Chiedo scusa a tutti, soprattutto al bambino». Un perdono difficile da concedere. I genitori del bambino per provare l’aggressione avevano dovuto scattare anche delle foto a graffi provocati sulla fronte del loro bambino. Scatti poi finiti agli atti del giudice, come i messaggi telefonici. Alla coppia, due professionisti di Monteverde, come evidenziato in denuncia, è rimasto il dubbio che la tata sia stata aggressiva anche in altre circostanze. Avevano notato il bimbo tirarsi i capelli o piangere a dirotto senza motivo. Provarlo, però, è stato impossibile in assenza di telecamere in casa. Nel caso si sarebbe configurato il reato più grave di maltrattamenti.
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Il Mattino