Processo Mollicone, per giorni si cercò l'auto sbagliata. Per l'accusa fu un depistagggio

Processo Mollicone, per giorni si cercò l'auto sbagliata. Per l'accusa fu un depistagggio
Per giorni, dopo l’omicidio di Serena Mollicone, si cercò l’auto sbagliata, tant’è che poi, gli stessi investigatori, rettificarono la nota di...

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Per giorni, dopo l’omicidio di Serena Mollicone, si cercò l’auto sbagliata, tant’è che poi, gli stessi investigatori, rettificarono la nota di ricerca del mezzo. È quanto emerso ieri nell’ambito del processo in Corte d’assise a Cassino per l’omicidio della studentessa di Arce.


La ricerca dell’auto, sulla quale sarebbe stata avvistata Serena la mattina del primo giugno 2001, è tornata al centro dell’istruttoria. Per la procura fu il maresciallo Franco Mottola, ora a processo con sua moglie Anna Maria e il figlio Marco e altri due carabinieri, a depistare le indagini. Avrebbe dato prima l’ordine di ricercare un’auto rossa e poi, dopo alcune settimane, una Lancia Y bianca.
Ciò, sempre secondo l’accusa, per allontanare i sospetti dal figlio Marco che deteneva proprio una Lancia Y che, come riferito da alcuni testimoni, sarebbe stata vista a Chioppetelle la mattina del primo giugno, 2001.
Su questo e su altri aspetti è stato ascoltato ieri in Corte d’Assise, l’appuntato Ernesto Venticinque, in servizio ad Arce nel 2001. ma assente dal lavoro il primo giugno, quando Serena sarebbe stata assassinata in caserma.
L’ANNOTAZIONE
Un racconto, quello dell’appuntato Venticinque, partito dagli accertamenti sull’ultimo avvistamento di Serena.
«Il 2 giugno 2001 siamo andati al bar Chioppetelle – ha detto Venticinque, rispondendo alle domande dei pm Siravo e Fusco -, non ricordo chi mi ci ha mandato o se prelevammo Mottola, quello di cui sono sicuro è che al bar c’era anche il maresciallo Mottola, il quale ci disse che dovevamo cercare una macchina rossa. Era Mottola che aveva informazioni più precise, io non avevo nessuna notizia utile».
Proprio su questo aspetto, l’appuntato ha confermato di aver firmato 25 giorni dopo l’accertamento, eseguito il 2 giugno, con il quale l’ex maresciallo Mottola colloca Serena Mollicone fuori dalla caserma il pomeriggio del primo giugno 2001. Sull’annotazione relativa alle ricerche del 2 giugno 2001, l’appuntato ha sottolineato di averla firmata solo il 27 giugno, «perché nel periodo successivo fece esclusivamente servizi esterni».
E sui contenuti ha aggiunto: «Ho firmato senza leggere, questa è la verità. Mi fidavo, la caserma era la mia seconda famiglia».
Ha smentito, invece, di aver dato input ad indagare sulla caserma di Arce. Nelle scorse udienze, invece, era emerso che proprio Venticinque aveva spronato il maresciallo Gaetano Evangelista, ad indagare sulla caserma.
Sono stati ricostruiti, poi, tutti gli aspetti legati allo spaccio e al consumo di droga ad Arce. L’appuntato ha parlano di un controllo eseguito a carico di alcuni giovani, tra cui Marco Mottola, trovati in possesso di una modica quantità di hashish. «Portai tutti in caserma, dal maresciallo Mottola e gli dissi di vedere suo figlio, poi andai via. Marco non era uno spacciatore», ha aggiunto Venticinque.
Ascoltato anche un altro carabiniere, l’appuntato Emilio Cuomo, sulle confidenze che gli fece il brigadiere Santino Tuzi, poco prima del suicidio avvenuto nell’aprile 2008. «Tuzi non mi disse di aver visto Serena Mollicone entrare in caserma quella mattina», ha spiegato Cuomo.
Il BRIGADIERE TUZI

Il collega di Tuzi ha ricostruito anche i servizi eseguiti proprio la sera del primo giugno 2001, giorno della scomparsa della studentessa. Cuomo fu impegnato in un servizio insieme a Santino Tuzi. «Ad Arce siamo andati verso mezzanotte e mezza e davanti alla caserma c’erano delle persone che avevano bisogno di aiuto - ha detto-. Erano due uomini che Tuzi conosceva, mi disse che erano i fratelli Antonio e Guglielmo Mollicone. Ci dissero che non riuscivano a rintracciare Serena e che nessuno ne aveva notizie, mentre parlavamo con loro fece rientro il maresciallo Mottola, a bordo di una lancia K blu, parcheggiò e venne verso di noi», ha concluso il teste Leggi l'articolo completo su
Il Mattino