Elezioni Quirinale, è Berlusconi l'ostacolo per Draghi sulla strada del Colle

Elezioni Quirinale, è Berlusconi l'ostacolo per Draghi sulla strada del Colle
Dopo la conferenza stampa di fine anno nulla è più come prima nella corsa per il Quirinale. Mario Draghi, in quell’occasione, non si è auto-candidato...

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Dopo la conferenza stampa di fine anno nulla è più come prima nella corsa per il Quirinale. Mario Draghi, in quell’occasione, non si è auto-candidato come tengono a sottolineare diverse fonti di governo, ma ha offerto la sua disponibilità da «nonno al servizio delle istituzioni» a succedere a Sergio Mattarella. Aggiungendo, ed è cosa non da poco, che il Piano nazionale i ripresa e resilienza (Pnrr) da oltre 200 miliardi, potrebbe andare avanti anche senza di lui a palazzo Chigi.

 

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Che il lavoro per il quale è stato chiamato a palazzo Chigi nel febbraio scorso è «in gran parte compiuto», dalla lotta al Covid all’attuazione del Pnrr (appunto). E che, per non spaventare i peones parlamentari che temono le elezioni come i capponi il Natale, le elezioni anticipate sarebbero una sciagura in quanto frenerebbero la ripresa economica e rischierebbero di far saltare la road map per il completamento del Pnrr. Insomma, il voto nel 2022 invocato da Giorgia Meloni e di cui Matteo Salvini è tentato, sarebbe una sciagura.

 

L’AVVERTIMENTO DEL PREMIER

In più, ed è forse la cosa fondamentale, Draghi ha avvertito partiti e Parlamento: se saltasse l’intesa di unità nazionale che tiene in piedi l’attuale governo, un istante dopo andrebbe a carte quarantotto anche l’esecutivo. Dunque addio all’ex capo della Bce e via sparati verso le elezioni anticipate. Emblematica a questo riguardo la domanda che il premier ha rivolto ai giornalisti: «Avendo detto che per il Quirinale ci vuole una maggioranza ampia, anche più ampia di quella attuale, affinché l’azione di questo governo continui, è immaginabile - e questo lo chiedo soprattutto alle forze politiche - una maggioranza che si spacchi sull’elezione del presidente della Repubblica e si ricomponga magicamente quando è il momento di sostenere il governo?». La risposta ovviamente è un no. Se non vi fosse un’intesa bipartisan sull’elezione del successore di Mattarella, Draghi sarebbe costretto a farsi da parte. Anzi, sarebbe la maggioranza stessa a sbriciolarsi e a non essere in grado di sostenere il governo. E addio all’ex capo della Bce: la carta più autorevole e credibile che l’Italia può giocarsi sui tavoli internazionali.

L’APERTURA DI LETTA

Un ragionamento così logico e fondato da spingere il leader del Pd, Enrico Letta, da suggerire ufficiosamente di puntare su Draghi al primo turno di votazioni con una maggioranza dei due-terzi. Dunque, di unità nazionale. E, allo stesso tempo, raggiungere l’intesa per un nuovo premier tecnico (si fanno i nomi di Daniele Franco e di Marta Cartabia) che porti il Paese alle urne nel 2023, a scadenza naturale della legislatura. L’obiettivo: sminare la strada al rischio che il nuovo capo dello Stato venga eletto a partire dalla quarta votazione, quando basterà la maggioranza più uno dei grandi elettori.

L’OSTACOLO BERLUSCONI

Inutile dire che l’identikit dell’eventuale candidato eletto a colpi di maggioranza corrisponde a Silvio Berlusconi. Il Cavaliere da settimane lavora alla sua candidatura, sondando i parlamentari del Gruppo Misto e centristi di varia origine e natura. Ed è convinto, come ha rilevato durante l’ultimo vertice di centrodestra, di avere «almeno cento voti in più» di quelli necessari. Ma né la Meloni, né Salvini, al di là della rassicurazioni di rito fatte a Berlusconi, è convinto che questa sia la strada giusta. Però né l’uno, né l’altro per ora se la sono sentita di dirlo al diretto interessato. Così, come sostiene più di una fonte di governo «il vero ostacolo sulla strada di Draghi verso il Quirinale è proprio Berlusconi». Ma tra i suoi c’è chi scommette che alla fine il Cavaliere farà i conti con la realtà e sarà proprio lui a trasformarsi in king maker di Draghi-presidente.

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Il Mattino